Focus 29 Aprile 2020

Aspettative di vita ridotte e rischi maggiori per il Covid-19, ecco perché l’obesità non va sottovalutata

Difficoltà di ventilazione, alterazioni del regolare funzionamento dell’organismo e aspettative di vita ridotte. Sono alcuni degli effetti che l’obesità produce su coloro che ne sono affetti. Si stima addirittura che il 50% dei soggetti coinvolti non riescano a vivere oltre i 70 anni.

Dopo gli appelli lanciati nei mesi scorsi dall’Oms e la mozione che impegna il Governo italiano a considerarla come una malattia cronica, l’obesità sta venendo, secondo la comunità scientifica, sottovalutata con eccessiva facilità anche in questo periodo caratterizzato dall’emergenza Coronavirus. Capiamo meglio perché.

Nel nostro Paese si trovano in condizione di cosiddetto “eccesso ponderale” quattro adulti su dieci (circa il 42%) e il 60% della popolazione tra i 65 e i 75 anni: è quindi lecito ipotizzare che molti pazienti colpiti dal Covid-19 siano alle prese con questo problema. Che l’eccesso di tessuto adiposo aumenti la gravità e la mortalità per il virus è confermato dal fatto che tra coloro che in Italia hanno perso la vita a causa della pandemia il 12,2% era obeso, il 69,7% iperteso, il 31,9% diabetico e il 27,4% soffriva di cardiopatia ischemica. E proprio queste ultime tre sono complicazioni di cui soffre una persona obesa.

Secondo un’analisi effettuata dalla “Lille Intensive Care Covid-19”, nell’ospedale di Lille la metà dei ricoverati in terapia intensiva per via del virus è obesa, il doppio rispetto agli ospedalizzati per altre ragioni nello stesso periodo dello scorso anno. Senza dimenticare che il bisogno di ventilazione aumenta con l’indice di massa corporea. Oltre a complicare le procedure diagnostiche e di ventilazione meccanica, l’obesità espone il paziente a un livello di estrema vulnerabilità anche se giovane: tanto per fare un esempio, i pochi decessi under 20 che si sono registrati in Italia per il Covid-19, erano obesi. In base a quanto spiegato da Andrea Lenzi, endocrinologo dell’università La Sapienza di Roma e coordinatore italiano di Open Obesity Policy Engagement Network, “il tessuto adiposo in eccesso determina un’infiammazione subclinica cronica, che è alla base di importanti alterazioni del funzionamento dell’organismo, come ad esempio dell’omeostasi endocrino-metabolica. Questo stato persistente di infiammazione di basso grado non riguarda il solo tessuto adiposo, ma è di livello sistemico e danneggia così tutti gli altri organi e tessuti e rende il soggetto più suscettibile anche dal punto di vista immunitario”.