Focus 26 Marzo 2021

Colangite biliare primitiva, il cromosoma X fornisce indicazioni sulle cause. Lo dice uno studio italiano

La maggior parte delle malattie autoimmuni colpiscono le donne, con un rapporto di 9 a 1 rispetto agli uomini, e anche la colangite biliare primitiva non fa eccezione. Ed è proprio il cromosoma X a fornire le indicazioni sulle cause di questa patologia del fegato. A dirlo è uno studio condotto da un team internazionale di ricercatori che segna un importante passo in avanti non solo verso la comprensione delle origini della CBP, ma anche del perché le patologie autoimmuni colpiscano più le donne che gli uomini.

Il lavoro, pubblicato su Gastroenterology, è stato coordinato dagli esperti dell’università di Milano-Bicocca e Centro delle Malattie Autoimmuni del Fegato dell’ospedale San Gerardo di Monza, da anni impegnati a studiare questa malattia, e da genetisti dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano. I curatori della ricerca hanno indagato il contributo del cromosoma X all’architettura genetica della patologia del fegato. Dagli anni ’50 e ’60 molti medici e scienziati si sono dedicati a studiare gli ormoni sessuali, quali l’estrogeno ed il progesterone, per spiegare questa marcata preponderanza femminile senza però ottenere una chiara spiegazione. Per questo motivo gli studi si sono poi estesi anche ai cromosomi sessuali.

Grazie al contributo di specialisti di istituzioni sanitarie e istituti di ricerca di Regno Unito, Giappone, Cina e Canada, è stato possibile raccogliere ed esaminare i dati genetici relativi a 5.244 casi, compresi quelli di pazienti italiani. Applicando per la prima volta un metodo di analisi chiamato XWAS e sviluppato proprio per identificare in modo adeguato possibili associazioni genetiche nel cromosoma X, sono emerse associazioni con geni come il “FOXP3” che, se difettosi, possono alterare le normali funzioni delle nostre difese immunitarie, portandole ad auto-aggredirci e quindi a causare CBP e autoimmunità.

“Questo studio è stato disegnato per indagare il cromosoma X che, per le sue peculiarità è sempre stato poco studiato – spiega la professoressa Rosanna Asselta, di Humanitas University – Si pensi che costituisce il 5% del genoma umano e che mutazioni in geni localizzati in questo cromosoma spiegano circa il 10% delle malattie monogeniche. Nonostante questo, gli studi su cromosoma X e malattie complesse, o multigeniche come la CBP, sono solo agli inizi e meno dell’1% di tutte le associazioni genetiche finora descritte riguardano questo peculiare cromosoma. Si tratta di un piccolo passo verso la medicina di genere, finora ancora poco considerata“.

“Il nostro gruppo è stato pioniere, ormai più di 20 anni fa, nello studio del ruolo dei difetti genetici ed epigenetici dei cromosomi sessuali X e Y per spiegare la predominanza del sesso femminile nella CBP e nell’autoimmunità più in generale – afferma il professor Pietro Invernizzi, gastroenterologo dell’università di Milano-Bicocca – Quest’ultimo studio è l’ulteriore conferma che è proprio nei cromosomi sessuali che si trova la risposta principale a questo fondamentale problema. Da qui pensiamo di poter capire anche perché ci ammaliamo di questa malattia rara del fegato, così come delle 80 o più malattie autoimmuni che, nell’insieme, colpiscono ben il 5-6% della popolazione generale, spesso con quadri clinici molto debilitanti e scarsa disponibilità di terapie efficaci come nel caso dell’artrite reumatoide, del lupus e delle connettivopatie”.

“La Federazione Italiana delle Malattie Rare rappresenta diverse associazioni di pazienti con patologie autoimmuni e molte di queste sono formate principalmente da donne – spiega Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo F.I.M.R. onlus – Per questo siamo lieti di sapere che la ricerca ha compiuto un passo in avanti nella comprensione di questa malattia. In Italia c’è ancora molto da fare per garantire l’equità nell’accesso ai servizi e per creare esperienze territoriali che siano in rete. Ci auguriamo che lo studio possa aprire la strada a terapie più efficaci, magari risolutive, e contribuire a rafforzare il concetto di centralità del paziente e di personalizzazione delle terapie“.