Focus 19 Settembre 2022

Da AIFA ok al primo farmaco per curare la colestasi intraepatica

Il nome completo è colestasi intraepatica familiare progressiva (PFIC): è una malattia rara del fegato che spesso colpisce i bambini fin dal primo anno di vita, con conseguenze che complicano non poco la vita non solo dei piccoli pazienti, ma anche dei loro familiari. Generalmente chi ne è affetto è destinato a interventi di diversione biliare o addirittura al trapianto.

Nei giorni scorsi l’AIFA (l’Agenzia italiana del farmaco) ha dato il via libera alla rimborsabilità di odevixibat, il primo medicinale per il trattamento di questa patologia. La cura ha mostrato di poter ridurre il prurito, uno dei sintomi della malattia, e gli acidi biliari sierici, nonché di migliorare crescita, sonno e funzionalità epatica. Le colestasi intraepatiche familiari progressive sono forme causate da un difetto di trasporto degli acidi biliari nella bile. Questo provoca marcata ritenzione delle componenti biliari nel fegato e il loro passaggio nel sangue con ittero, prurito e sofferenza epatica con infiammazione e fibrosi. Nei pazienti affetti da PFIC il flusso biliare dal fegato all’intestino è interrotto a causa di un difetto genetico: la bile rimane perciò nel fegato e lo intossica, compromettendone le funzioni al punto da rendere necessario il trapianto d’organo. L’incapacità di eliminare gli acidi biliari può anche portare al malassorbimento di grasso, problemi nello sviluppo e carenza di vitamine A, D, E e K.

Esistono tre forme di colestasi progressiva intraepatica familiare: 

  • di tipo 1, dovuta a difetti nel gene ATP8B1;
  • di tipo 2, effetto di mutazioni del gene ABCB11;
  • di tipo 3, conseguenza di mutazioni del gene ABCB4 (chiamato anche MDR3)

Tutte si trasmettono con modalità autosomica recessiva: significa che se in una coppia entrambi i genitori sono portatori sani di una mutazione, a ogni gravidanza si ha un rischio del 25% di generare figli malati, il 50% di possibilità di avere figli portatori sani e il 25% di avere figli sani non portatori. La diagnosi si basa su manifestazioni cliniche, dati funzionali epatici bioumorali, esami strumentali (ecografia epatica, colangiografia) e analisi istologica. Può essere confermata attraverso l’analisi genetica, con ricerca di mutazioni nei geni coinvolti. È possibile la diagnosi prenatale.

L’approvazione da parte di AIFA di questo medicinale apre nuove prospettive di cura per i pazienti affetti da PFIC che, fino ad oggi, nella maggior parte dei casi avevano il trapianto di fegato come unica speranza.