Da Parma nuove soluzioni per trattare l’epatite B
Discutere sulle procedure più attuali a disposizione per trattare l’epatite B. È l’obiettivo con cui i ricercatori dell’ospedale Maggiore di Parma hanno partecipato all’International HBV Meeting 2022, l’evento di Parigi che ha riunito i massimi esperti del settore proprio per confrontarsi sulle terapie più aggiornate
L’epatite B è una malattia del fegato provocata, appunto, dall’infezione del virus HBV e il suo superamentorappresenta, ancora oggi, una delle più importanti sfide per il mondo sanitario: stime ufficiali indicano in oltre 250 milioni le persone nel mondo a rischio di sviluppare gravi patologie epatiche. Può avere un decorso acuto con guarigione spontanea, oppure può diventare cronica con persistenza del virus all’interno dell’organismo. L’HBV si trasmette attraverso il contatto diretto con il sangue o altri liquidi biologicidell’organismo in cui sia esso presente: oggi la trasmissione può avvenire alla nascita dalla madre infetta al figlio, per via sessuale, in soggetti non sufficientemente protetti dalla vaccinazione oppure attraverso le pratiche estetiche come tatuaggi e piercing.
Il gruppo di ricercatori dell’ospedale Maggiore segue attualmente oltre 800 pazienti e da molti anni è impegnato a studiare quali interventi si possano attuare per ripristinare una difesa immunitaria efficace. Ad oggi, oltre al vaccino utile a prevenire l’infezione, esistono diverse terapie antivirali per trattare l’epatite B, ma non rappresentano una cura definitiva. Proprio in quest’ottica, la ricerca scientifica si sta adoperando per trovare nuove soluzioni. Come ha spiegato Paola Fisicaro, che a Parigi ha rappresentato il gruppo di ricerca di Malattie infettive dell’AOU, “il virus dell’epatite B convive con l’organismo umano da migliaia di anni e quindi ha sviluppato strategie di persistenza molto sofisticate. Quello che abbiamo fatto nel nostro laboratorio è stato indagare sui difetti responsabili del malfunzionamento dei linfociti T HBV-specifici, una delle principali popolazioni cellulari del sistema immunitario deputata a difenderci dalle infezioni”.
E nella struttura parmense sono tre, come racconta il direttore dell’U.O. Malattie infettive, il professor Carlo Ferrari, “gli studi che stanno per partire. Uno completamente ideato dai ricercatori del reparto da me diretto e finanziato dalla Regione Emilia Romagna e altri due finanziati dalla Commissione Europea nell’ambito del programma Horizon 2020, denominati IP-cure-B e TherVacB”. Si tratta di iniziative che si inseriscono in un contesto internazionale che unisce gruppi di medici e ricercatori francesi, tedeschi, inglesi, spagnoli e greci. Lo sviluppo di nuove future strategie terapeutiche è infatti il risultato dell’aggregazione di competenze scientifiche differenti nel campo dell’immunologia, della virologia e della biologia molecolare. “Siamo molto orgogliosi di partecipare a questi progetti. È un passo avanti nella ricerca per il trattamento di questa patologia – conclude – una importante opportunità per i pazienti della nostra area geografica, ma anche di quelli provenienti da altre regioni italiane”.
Nella foto in alto: a sinistra il professor Carlo Ferrari e, accanto a lui, la dottoressa Paola Fisicaro