Focus 11 Luglio 2022

“Da trent’anni vivo grazie al fegato di un’altra persona, per questo ho creato l’associazione dei trapianti in Sicilia”

di Francesca Franceschi

L’organo che mi sento in corpo, il fegato che ho ricevuto circa 30 anni fa lo considero come qualcosa che mi è stato dato in affitto per compiere azioni che hanno come unico fine il benessere comune”. Sono le parole di Salvatore Camiolo, presidente da 16 anni di A.S.Tra.Fe. Sicilia OdV, “Associazione Siciliana per il Trapianto di Fegato”, l’associazione nata a Palermo il 17 giugno 1992 su iniziativa di un gruppo di medici e pazienti trapiantati. È una storia che parla di sacrifici e battaglie sul campo ma, soprattutto, di lotte serrate non solo per combattere le disparità – che da sempre, specie in sanità, caratterizzano alcune regioni del nostro stivale – ma anche per evitare a tanti pazienti bisognosi di un trapianto di fegato di compiere viaggi della speranza prima di poterlo ricevere. Sono questi i motivi che hanno spinto Camiolo, oggi 67 anni ma da quando ne ha 38 in vita grazie al fegato ricevuto da un’altra persona, a dar vita a questa associazione che ha sede all’interno dell’Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione di Palermo. “Una lotta per l’equità”. Ci tiene a sottolinearlo prima di esternare apertamente che si è trattato di un momento, un istante, in cui è cambiato letteralmente tutto. Una manciata di minuti che fanno rivalutare un’intera esistenza e, soprattutto, ristabilire ordini di priorità. La diagnosi di un carcinoma epatico allo stadio iniziale, vigliacco e silente, che come unica strada percorribile avrebbe consentito a Camiolo 6 mesi di chemioterapia e poi l’attesa, il destino, la speranza o forse la resa. E poi, doveroso ricordarlo, 30 anni fa era tutto molto diverso da oggi.

Il presidente di A.S.Tra.Fe. Sicilia OdV Salvatore Camiolo
Presidente, iniziamo dalla fine. Perché, insieme ad altri medici e pazienti trapiantati, ha deciso di dar vita ad ASTRAFE Sicilia?

“Per non arrendermi alla consapevolezza, nonché alla triste certezza, che nella nostra regione fino a non troppo tempo fa potevano accedere al trapianto solo coloro che economicamente potevano permetterselo. Pensavamo che questa discriminante, oltre che immorale, fosse tremendamente ingiusta. Perché chi poteva affrontare e pagare un viaggio della speranza a Lione, Bruxelles, Milano ecc aveva diritto alla vita e chi non riusciva a sostenerlo doveva arrendersi alle cure palliative e ad un destino già segnato? Che senso di equità e giustizia poteva avere tutto questo? Come saresti riuscito a guardare in faccia i familiari ai quali stavi riconsegnando un proprio caro dicendoli semplicemente che la Sicilia non era dotata di un centro trapianti di fegato? Da qui sono partite lunghe battaglie perché tutto ciò era inaccettabile. Battaglie e pressioni, me lo faccia dire, per essere sempre un pungolo propositivo per la Regione Sicilia affinché costituisse nella nostra regione un centro trapianti”

E adesso invece ripartiamo dall’inizio.  Quando ha scoperto di aver bisogno di un nuovo fegato per vivere?

“Nel 1994. Tutto è accaduto in seguito ad un controllo fatto casualmente a Palermo. Avevo sofferto di una cirrosi virale e silente provocata da epatite C e decisi di fare qualche accertamento. I medici notarono una piccola malformazione e da lì, ben presto, la diagnosi: carcinoma primitivo del fegato a soli 38 anni.  Ecco che fui affidato all’Istituto nazionale dei tumori di Milano e alle cure di Vincenzo Mazzaferro, oggi direttore della Struttura complessa di Chirurgia apparato digerente e trapianto di fegato della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, il chirurgo che mi ha tenuto 20 ore sul tavolo operatorio per donarmi di un fegato nuovo”

Quanto ha dovuto aspettare per riceverlo?

“45 minuti. So che le sembrerà strano ma è stato davvero così. Dopo aver trascorso 15 giorni in ospedale, il pomeriggio – poco prima di esser dimesso – il medico mi fece firmare la lista di attesa, mi consegnò un cerca-persone poiché allora non esistevano i cellulari e mi congedò. Proprio mentre stavo preparando le mie cose e la valigia per lasciare il reparto milanese e tornare a Palermo ad attendere il mio turno, mi raggiunse in camera l’infermiere che mi disse, senza giri di parole, che stava arrivando un potenziale donatore buono per me. E subito dopo aggiunse. “Te la sentiresti di entrare in sala?”.

Che cosa ha pensato in quella frazione di secondo?

“Non ci crederà ma la mia mente, la mia testa non riuscivano a ricordare il numero di telefono fisso di casa. Sapevo che avrei dovuto subito telefonare a mia moglie, in quel momento nella nostra casa di Palermo con la piccola neonata e il bambino di 4 anni, ma non sapevo quali numeri comporre. Ho dovuto chiedere all’infermiera di cercare all’interno dei fogli della mia cartella clinica il recapito telefonico di casa. Subito dopo ho riflettuto, al mio fianco avevo per fortuna mio fratello, medico del Niguarda di Milano, che è stato come sempre non solo una guida personale”

Aveva dolori?

“Assolutamente no. Eroasintomatico, non sentivo niente. Il carcinoma epatico è un tumore molto viscido, il fegato è un organo generoso e allo stadio iniziale del tumore riesce a sopperire a tutte le funzioni. Però avevo una certezza: i medici mi avevano dato 6 mesi di vita facendo chemioterapie. In quel momento, di fronte ad un fegato che stava arrivando per me, la sola cosa che ho pensato e mi sono detto è stata: “tanto vale che ci provi”. Ma prima ho guardato il mio chirurgo in faccia…”

Cosa vi siete detti?

“Lo ricordo come fosse ora il nostro dialogo. “Non posso permettermi di morire”. Lui mi ha guardato fisso negli occhi e ha risposto: “La signora (la morte ndr) rimane sempre fuori dalla sala operatoria quando opero io”. Sono entrato sul tavolo alle 4 del mattino, quando mia moglie non era ancora partita da Palermo. 28 ore consecutive di operazione. Avrei potuto non rivederla mai più. Invece dopo 5 giorni sono riuscita a rivedere il suo volto”

Cosa significa vivere grazie e con un organo di un’altra persona?
I volontari di A.S.Tra.Fe. Sicilia OdV

“Il trapianto, anche per la portata, il suo significato e la complessità generale, non è un intervento chirurgico comune. In gioco non ci sono solo medico, paziente e una struttura. Dietro c’è un qualcosa di molto più grande che è la solidarietà sociale. Io fino a quel giorno non mi ero mai soffermato a riflettere attentamente. Ero un dirigente Eni, gestivo 250 dipendenti ed ero abituato a prendere decisioni importanti e ad assumermi responsabilità. Facevo il pendolare, dal lunedì al venerdì lavoro a San Donato, nel milanese, e la mia vita era dedicata al 100% al lavoro. Corri da una parte, corri dall’altra, risultati, performance, tante persone alle tue dipendenze: avevo perso la bussola… Il destino, la vita ha voluto darmi una lezione… O, meglio, la vita ha voluto insegnarmi qualcosa di importante. Proprio a me che, concentrato sulla carriera, non mi era mai balenata per la testa l’idea di fare volontariato”.

Che cosa è successo?

“Ho realizzato di non essere invincibile. Quella volta, forse per la prima volta in vita mia, ho capito che non potevo risolvere tutto da solo. Che avevo bisogno di aiuto. Proprio io che facevo fatica anche a pensarlo, ad ammetterlo. E la cosa straordinaria è stata che quando ho avuto bisogno di aiuto, con due figli piccolissimi e una moglie sola a Palermo, qualcuno ha risposto. Quando ero in difficoltà il prossimo mi ha aiutato. Sono stato un privilegiato e la mia vita non poteva assolutamente essere identica a quella di prima. E così, poi, è stato. Abbiamo dato vita all’associazione e, ad oggi, lo dico con grande orgoglio, non c’è stato un paziente che quando ha avuto bisogno di noi è stato rimandato a casa o lasciato solo. Ecco il senso di tutto: compiere qualcosa, nel nostro piccolo, per gli altri”

Quanti volontari ad oggi sono impegnati in questo nobile progetto?
I volontari di A.S.Tra.Fe. Sicilia OdV

“A Palermo sono attivi quotidianamente 25 persone che, in maniera gratuita e volontaria, dalle 7.30 del mattino lavorano su turni fino alle 18 di sera. Sono distribuiti in ospedale in gruppi di 12 e si occupano della presa in carico del paziente fin dal momento del suo arrivo alla porta d’ingresso. Sbrigare pratiche sanitarie, aiuto nel rilevare bisogni talvolta taciuti per pudore o reticenze, alloggio, banco alimentare ma anche supporto psicologico, sostegno ai familiari così come cure socio-assistenziali e promozione della cultura della donazione. Sono tante le attività della nostra associazione che promuove anche la ricerca nel campo del trapianto così come la realizzazione di iniziative sociali e culturali sia nel settore trapianti e donazione sia nel settore del volontariato in ambito sanitario”

Quale bilancio personale si sente di tracciare oggi?

“Sono passati molti anni da quando è stato il mio turno. Ho visto persone che non sono arrivate al trapianto: ecco perché mi sono sentito e mi sento tuttora un privilegiato. La società ha scelto generosamente di farmi continuare a vivere e io, in nome della profonda gratitudine che ho nei confronti di tutti, mi devo prodigare per il prossimo. Dico questa cosa anche ai genitori di persone scomparse precocemente e che hanno scelto di donare gli organi dei propri figli. La catena della solidarietà umana non deve spezzarsi mai”

ASTRAFE Sicilia OdV ha sede presso Via Ernesto Tricomi n. 5 c/o ISMETT – Palermo. Tel. 091 2192610
Sito: www.astrafe.it – E-mail: astrafe@libero.it