Epatiti sconosciute nei bambini, i casi crescono anche in Italia
I casi di epatiti sconosciute nei bambini continuano a crescere. E l’Italia non fa più eccezione. Ammontano infatti a 17 gli episodi segnalati nel nostro Paese, per uno dei quali è stato necessario il trapianto di fegato(effettuato all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo). A distanza di poco più di una settimana da quando avevamo dato la notizia, il quadro si delinea con maggior precisione e, allo stesso tempo, con prospettive non proprio esaltanti.
Il report pubblicato dall’ECDC (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) conferma che non si è ancora a conoscenza della causa scatenante di queste forme (un concetto ribadito anche dal nostro Istituto Superiore di Sanità) che, al momento, hanno colpito solo bambini dai primi mesi di vita fino ai 16 anni. Tuttavia, le ipotesi sarebbero cinque, tra cui quella di un cofattore virale che renderebbe più aggressivo l’adenovirus, teoria su cui sempre l’ISS ha invitato alla prudenza.
Complessivamente sono 166 i casi di epatiti sconosciute nei bambini segnalati in Europa, con il Regno Unito che si conferma il Paese più colpito (111 rispetto ai 55 dei territori Ue). Nel resto del mondo ne risultano 12 sia negli Stati Uniti che in Israele, mentre uno solo in Giappone. In totale sono stati necessari 15 trapianti di fegato, di cui 10 nel Regno Unito: tutti i piccoli pazienti colpiti hanno meno di 16 anni.
Come spiega l’Istituto Superiore di Sanità, “al momento nessuna delle teorie formulate sull’origine ha avuto un riscontro attraverso evidenze scientifiche. Inoltre, ogni anno in Italia, come negli altri Paesi, si verifica un certo numero di epatiti con causa sconosciuta e sono in corso analisi per stabilire se ci sia effettivamente un eccesso. Le ipotesi iniziali del team di indagine nel Regno Unito proponevano una eziologia infettiva o possibile esposizione a sostanze tossiche. Informazioni dettagliate raccolte attraverso un questionario relativo a cibi, bevande, abitudini personali dei casi non hanno evidenziato esposizioni comuni. Le indagini tossicologiche sono in corso, ma una eziologia infettiva sembra essere più probabile in base al quadro epidemiologico e clinico. Le indagini microbiologiche hanno escluso virus dell’epatite A, B, C, D ed E in tutti i casi. Tra 13 casi notificati dalla Scozia, per cui sono disponibili informazioni di dettaglio sul testing, tre avevano una infezione confermata da SARS-CoV-, 5 erano negativi e 2 avevano avuto una infezione da SARS-CoV-2 tre mesi prima. Cinque casi avevano un test positivo per adenovirus tra gli 11 dei 13 casi per cui erano disponibili dati su questo tipo di test”.
In merito a un possibile collegamento tra le epatiti e il vaccino anti-Covid, l’ISS ha specificato che “al momento non ci sono elementi che suggeriscano una connessione tra la malattia e la vaccinazione, e anzi diverse considerazioni porterebbero ad escluderla. Nella quasi totalità dei casi in cui si è a conoscenza dello status i bambini colpiti non erano stati vaccinati. L’ipotesi che sia un adenovirus a causare le epatiti, avanzata da qualche ricercatore, è di per sé improbabile, in quanto questo tipo di virus normalmente non è associato a malattie epatiche. In ogni caso l’adenovirus contenuto nei vaccini a vettore adenovirale anti Sars-Cov-2 utilizzati in alcuni Paesi (in Italia AstraZeneca e Janssen), è geneticamente modificato in modo da non replicare nelle cellule del nostro organismo. Allo stato attuale delle conoscenze, quindi, non sembrano biologicamente possibili i fenomeni di ricombinazione tra Adenovirus circolanti e ceppo vaccinale”.