Giornata mondiale contro il cancro, qual è la situazione in Italia
Chiudere il divario assistenziale. In inglese, “Close the care gap”. È il claim scelto per l’edizione di quest’anno della Giornata mondiale contro il cancro, che ricorre come sempre il 4 febbraio.
Istituito nel 2000, questo appuntamento è diventato un modo per tutti, pazienti, associazioni e specialisti, per unirsi sotto un’unica voce e affrontare quella che, ancora oggi, è una delle più grandi sfide da vincere nella nostra storia. Coordinata dalla UICC (l’Unione per il controllo internazionale del cancro) questa giornata vuole accrescere la consapevolezza a livello globale, migliorando l’istruzione e catalizzando l’azione collettiva così da ricostruire un mondo in cui sia possibile prevenire i decessi da tumore. Ma soprattutto, una collettività che abbia pari accesso alle terapie salvavita indipendentemente dalla classe sociale o dalla terra di origine. In un’epoca in cui la ricerca ha compiuto passi da gigante in termini di prevenzione, diagnosi e trattamento, la Giornata mondiale contro il cancro di quest’anno vuole puntare i fari sulle barriere contro cui sbattono tutte quelle persone che cercano una soluzione di fronte alla malattia. Reddito, istruzione, posizione geografica e discriminazione basata su etnia, genere, orientamento sessuale, età, disabilità e stile di vita, sono solo alcuni dei fattori che possono influire negativamente sull’assistenza. Da qui il claim “Close the care gap”.
Ma qual è la situazione in Italia? Rispetto al resto d’Europa, qui da noi si muore meno di cancro in base a quanto emerge dall’ultima edizione de “I numeri del cancro in Italia”, il rapporto realizzato da AIOM(l’Associazione Italiana di Oncologia Medica). Nel nostro Paese sono diminuiti i decessi per tumore e nel 2021 è migliorata anche la sopravvivenza. Le morti per neoplasie, infatti, sono state quasi 2mila in meno dell’anno precedente e a calare nei maschi sono state quelle per cancro a stomaco (-18,4%), polmone (-15,6%), prostata (-14,6%) e colon-retto (-13,6%). Aumentano invece nella popolazione femminile i decessi per carcinoma a vescica (+5,6%) e polmone (+5%), strettamente legati al fumo di sigaretta, mentre calano quelli a stomaco (-25%), colon-retto (-13,2%), ovaio (-9%) e mammella (-6,8%).
Circa 13mila sono state invece le diagnosi di tumore del fegato, con una sopravvivenza netta a 5 anni del 22% in entrambi i sessi. La possibilità di vivere per ulteriori 4 anni è condizionata, per il 40% dei pazienti maschi, dall’aver superato il primo anno dopo la diagnosi. Per le pazienti la percentuale è pressoché identica (39%). Ad oggi, si calcolano in circa 33.800 le persone che in Italia vivono dopo una diagnosi di tumore del fegato (25.300 uomini e 8.500 donne). Oltre il 70% dei casi di questi tumori primitivi è riconducibile a fattori di rischio noti, quali l’infezione da virus dell’epatite C (HCV) e da virus dell’epatite B (HBV). Nelle aree del Nord Italia circa un terzo dei tumori del fegato è attribuibile all’abuso di bevande alcoliche. Ulteriori fattori di rischio sono rappresentati da aflatossine (in particolare Asia orientale e Africa sub-Sahariana) assunte con alimentazione, emocromatosi, deficit di alfa-1-antitripsina, obesità (specie se complicata da presenza di diabete) e steatoepatite non alcolica. Anche il fumo di tabacco è stato riconosciuto tra i fattori di rischio.