Focus 08 Settembre 2021

Il rapporto tra medico e paziente nel trapianto di fegato

Il rapporto tra medico e paziente è da sempre un tema estremamente delicato. Fin dalla diagnosi, la relazione tra persone coinvolte nell’ambito trapiantologico è fondamentale: quando si è più fragili si cerca la cura del corpo, ma è altrettanto vero e necessario prestare estrema attenzione anche alla storia e al passato di chi deve sottoporsi al trapianto di fegato.

Ascolto, relazione e comunicazione sono i tre principi su cui si basa la cosiddetta “medicina narrativa”, un approccio che utilizza le narrazioni delle persone nella pratica clinica, nella ricerca e nell’educazione come un modo per promuovere la guarigione. In particolare quando ci si trova di fronte a una diagnosi di epatocarcinoma, il paziente deve essere informato di qualunque cosa: idealmente, il trapianto rappresenta la terapia migliore perché non solo consente di eliminare la massa tumorale, ma con l’innesto di un nuovo organo consentirà al soggetto trapiantato di superare anche quella condizione di cirrosi sulla quale, sempre più di frequente, si sviluppa l’epatocarcinoma.

Avvicinare le persone, favorire il dialogo e la comprensione, su questo è basata la medicina narrativa. Un metodo che non solo agevola il rapporto tra medico e paziente, ma che consente di accrescere la responsabilità individuale sia da parte del curante che del paziente stesso. Si applica in ogni momento della cura, dall’inizio fino alla fase più delicata della terapia.

“Basta davvero poco – spiega la dottoressa Rita Charon (Cattedra di Etica e Medicina Narrativa alla Columbia University di New York), medico internista, tra i primi a parlare di Medicina Narrativa già alla fine degli anni ’90 – è sufficiente, per lo specialista, presentarsi davanti alla persona malata e dirle Raccontami la storia della tua malattia al fegato. Stimolare un racconto, imparare ad ascoltare senza avere la necessità di interrompere: è questo che fa la differenza soprattutto in trattamenti in cui in ballo c’è la vita delle persone. Meno distanza mettiamo tra medici e pazienti, più saremo disponibili”.