La rete trapiantologica italiana ha retto l’impatto del Covid
La rete trapiantologica italiana ha retto l’impatto del Covid. Lo conferma uno studio condotto in 22 Paesi di quattro diversi continenti e presentato in occasione del 20° Congresso dell’ESOT (la Società scientifica europea per i trapianti di organo) a Milano. Dai dati raccolti, e pubblicati contemporaneamente su Lancet Public Health, è emerso che la pandemia ha generato una flessione del 31% (circa un terzo) degli interventi in tutto il mondo. In media, i trapianti effettuati nel corso del 2020 si sono ridotti del 15% rispetto all’anno precedente. Oltre 11mila in meno del 2019 nei 22 Paesi in cui è stata condotta la ricerca.
Il calo maggiore ha riguardato il trapianto di rene da donatore vivente con un -40% rispetto a quelli effettuati nel 2019 e a seguire quello di fegato (-33%). La riduzione maggiore per i trapianti da donatore deceduto spetta al trapianto di polmone (-17%), seguito da rene (-12%), fegato (-9%) e cuore (-5%). Gli esperti hanno stimato che gli anni di vita persa sono stati 37.664 per i pazienti in lista per trapianto di rene, 7.370 per quelli in lista per trapianto di fegato, 1.799 per trapianto di polmone, 1.406 per trapianto di cuore, corrispondenti a un totale di 48.239 anni di vita persi.
In Italia per tutto il 2020 si calcolano 525 trapianti in meno rispetto all’anno precedente, una riduzione complessiva del 16%. Un dato che ancora una volta ribadisce che la rete trapiantologica italiana ha retto l’impatto del Covid. Come ha spiegato il direttore del Centro nazionale trapianti, Massimo Cardillo, “la presenza del CNT a Esot 2021 è stata l’occasione per rimarcare la leadership della trapiantologia italiana nel panorama europeo e mondiale. La rete del Servizio sanitario nazionale è stata tra quelle che ha sopportato meglio i colpi della pandemia, con un calo dell’attività del 10% durante le prime ondate, mentre nel resto del mondo la media è stata del 31%. Ma non solo. Durante i mesi più critici – prosegue – l’Italia dei trapianti è stata pioniera su molti fronti: dal primo trapianto europeo di polmone su un paziente vittima del Covid fino ai primi trapianti al mondo da donatori positivi al virus, prima su riceventi positivi e infine persino su pazienti negativi all’infezione. Esperienze che abbiamo analizzato e condiviso durante il congresso e che oggi sono best practice a livello internazionale”.
Ora la sfida starà nell’individuare e adottare misure che possano consolidare l’attività di donazione e trapianto nei vari Paesi europei rendendola più flessibile e capace di reggere l’urto di grandi emergenze sanitarie come quella che stiamo attraversando. In particolare, ha concluso Cardillo, “l’esperienza della pandemia ci insegna che va rafforzata l’integrazione con le strutture ospedaliere e la medicina del territorio, fondamentale per l’approccio multidisciplinare richiesto dal trapianto, e questo a partire dalla rete delle terapie intensive, che sono state la trincea del Covid, ma che sono anche il luogo nel quale si concretizzano le donazioni di organi che rendono accessibile ai pazienti in attesa la terapia del trapianto”.