Le buone pratiche per gestire i pazienti con epatocarcinoma
Il tumore del fegato è una delle neoplasie più aggressive, nonché tra le prime cause di morti oncologiche nel mondo. Dati ufficiali relativi al 2020 dicono che solo nel nostro Paese i casi stimati sono stati 13mila, ecco allora che diventa fondamentale individuare procedure e buone pratiche per la gestione dei pazienti con epatocarcinoma (HCC).
Proprio con questo obiettivo, è da poco iniziato un ciclo di appuntamenti in diverse città italiane chiamato appunto “Uniti e vicini ai pazienti con epatocarcinoma”. Si tratta di un vero e proprio roadshow promosso da Roche e patrocinato da EpaC Onlus. Oggi, grazie ai progressi scientifici e alle innovazioni diagnostiche e terapeutiche, la prognosi del tumore del fegato è in miglioramento, ma questo si accompagna a una maggiore complessità della sua gestione, che pone alcune sfide sia dal punto di vista clinico che organizzativo. La presa in carico dei pazienti con epatocarcinoma, infatti, deve essere guidata da un team multidisciplinare, composto da epatologi, chirurghi, oncologi e radiologi interventisti e altri specialisti che, lavorando in sinergia fin dal momento della diagnosi, possa individuare il miglior trattamento possibile e indirizzare la persona verso strutture di eccellenza e ad alta specializzazione. Il team definisce il trattamento personalizzato sul paziente, in base alle patologie esistenti o pregresse, alle condizioni e alla morfologia del fegato e del tumore, alle comorbidità, alle riserve funzionali epatiche, alla rapidità di crescita dalla diagnosi, con il supporto di Linee Guida e PDTA regionali.
Come ha spiegato Giovan Giuseppe Di Costanzo, responsabile UOC Epatologia e unità pancreas dell’ospedale Cardarelli di Napoli, “l’epatocarcinoma è una patologia di complessa gestione perché di solito insorge in pazienti affetti da cirrosi. L’Italia è il Paese europeo con maggiore incidenza di epatocarcinoma e la Campania è la regione con il più elevato numero di casi: infatti, su circa 10mila episodi all’anno in Italia, circa mille sono in questo territorio, per quella che è una vera e propria emergenza sanitaria”. L’epatocarcinoma si sviluppa prevalentemente in persone che soffrono di cirrosi a causa di epatite cronica (B o C) o di abuso di alcool, sindromi dismetaboliche, e tipicamente si manifesta in stadi ormai avanzati. La prognosi per le forme non resecabili di HCC è infausta, con poche opzioni di trattamento sistemico e il tasso di sopravvivenza ad un anno minore del 50% dal momento della diagnosi della forma avanzata.
L’istituzione del GOM, il Gruppo Oncologico Multidisciplinare, per questa patologia ha reso più snella la fase di studio del paziente e della stadiazione del tumore. Chi è inserito nel GOM viene seguito nel percorso diagnostico e stadiativo ed è sottoposto alle opportune indagini, accorciando così i tempi di attesa tra diagnosi e trattamento.
“Nel corso degli ultimi anni in Italia e nel mondo occidentale è cambiata l’epidemiologia dell’epatocarcinoma – ha detto il professor Bruno Daniele, direttore UOC di Oncologia dell’ospedale del Mare – stanno diminuendo i casi legati alle infezioni virali, in particolare l’epatite B e C, per effetto del vaccino e dei farmaci antivirali. Al contrario, sono aumentati gli epatocarcinomi associati alla steatosi epatica, in rapporto all’aumentata incidenza di obesità, diabete, cattiva alimentazione e abuso di alcol. Purtroppo, la popolazione dei pazienti con sindrome metabolica e steatosi epatica da monitorare e da sottoporre a controlli periodici è molto ampia e sfugge alla sorveglianza: per questo il tumore del fegato viene diagnosticato in uno stadio già avanzato”.
L’epatocarcinoma, infine, ha un effetto importante sui pazienti e sulle loro famiglie che hanno necessità di avere informazioni chiare e precise sui percorsi di cura, sui trattamenti e sulle strutture in grado di seguire al meglio il loro percorso diagnostico-terapeutico.