Focus 22 Settembre 2022

Luciano De Carlis della Niguarda Transplant Foundation: “Così il paziente trapiantato può avere una nuova vita”

Dare un’unica voce a una grande comunità di persone, aiutare i pazienti trapiantati e coloro che sono in attesa di ricevere un organo e, contemporaneamente, le loro famiglie che si sentono smarrite e prive di “anticorpi buoni” per affrontare una battaglia così complessa. È la missione della NTF, Niguarda Transplant Foundation di Milano, la fondazione nata il 13 settembre 2016 per stare al fianco delle persone che hanno visto o aspettano di veder cambiare la loro vita grazie al trapianto di organi addominali.

Una catena umana di medici, sanitari e volontari che quotidianamente aiuta pazienti e familiari affinché non manchino cure – sia mediche che dell’anima – durante il percorso trapiantologico. Al tempo stesso la fondazione è in prima linea nella promozione della ricerca scientifica, della sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema della donazione di organi e, soprattutto, delle nuove tecnologie alleate per rendere sempre più all’avanguardia il trapianto addominale all’Ospedale Niguarda, fiore all’occhiello nazionale e internazionale in questo settore.

Del resto, proprio in questo ospedale, nel 1972, fu eseguito il primo trapianto di rene. Da allora, oltre 7mila persone hanno avuto la possibilità di un trapianto di fegato, di rene, di pancreas, combinato (più organi in contemporanea) o sono arrivate al Niguarda da altre strutture del Paese in cerca di una assistenza post trapianto migliore. E, a oggi, numeri alla mano, sono circa 2500 i trapianti di fegato effettuati a partire dal 1985, circa 3700 quelli di rene e poco meno di 500 quelli di pancreas. A determinare la crescita, diversi fattori, in primis il miglioramento delle tecniche disponibili che Niguarda ha saputo mettere in pratica in questi ultimi anni. Su tutte, il trapianto a cuore non battente, una procedura che grazie all’utilizzo di tecnologie molto sofisticate consente di utilizzare anche gli organi provenienti da donatori in cui la morte sopraggiunge per cessata attività cardiaca. E ancora la robotica chirurgica, alleata indispensabile a garantire minor invasività e miglior recupero post sala operatoria.

Nel 2015 poi l’ospedale milanese è stato protagonista del primo trapianto di fegato a cuore fermo a livello nazionale. Da allora le procedure si sono affinate, anche grazie all’utilizzo di strumentazioni sempre più performanti. Il centro di Chirurgia generale e dei trapianti del Grande ospedale metropolitano Niguarda di Milano, diretto dal professor Luciano De Carlis, è oggi uno dei principali riferimenti europei nella trapiantologia nonché uno dei pochi centri in Lombardia a effettuare trapianti per quasi tutti gli organi (cuore, polmone, pancreas, rene, fegato) senza dimenticare i trapianti di tessuti e cellule.

Della fondazione ma anche del lavoro degli ultimi anni parliamo proprio con De Carlis, chirurgo, professore ordinario di Chirurgia all’Università Bicocca di Miliano e direttore della Chirurgia generale e dei trapianti nonché del dipartimento Chirurgico polispecialistico del Niguarda. È stato lui ad eseguire in Italia il primo trapianto da donatore vivente di fegato, il primo trapianto di rene da vivente con tecnica di prelievo robotico, il primo split liver adulto-adulto, il primo trapianto di fegato da donatore in arresto cardiaco nonché il primo trapianto di rene cross-over da donatore samaritano.

Professore, quali sono gli scopi della vostra Fondazione?
Il professor Luciano De Carlis

“NTF nasce e prosegue il suo cammino per stare al fianco dei malati e per sostenerli in qualsiasi necessità che incontrano quando si trovano ad affrontare questo tunnel. Dico tunnel anche se oggi, rispetto al passato, (De Carlis ha iniziato nel 1985 a eseguire trapianti di fegato insieme al suo maestro, il professor Luca Belli ndr), l’impatto, compreso quello emotivo, di un trapianto è vissuto con minori reticenze e paure. Non dico che sia paragonabile per pazienti e familiari a un ordinario intervento chirurgico ma sono stati fatti moltissimi passi avanti con tecniche sempre meno invasive e routinarie che contribuiscono a ridurre le complicanze.

La nostra fondazione non è altro che la continuazione della prima che abbiamo creato, ossia FATE (Fondazione amici trapianto epatico), una realtà che ho ideato e portato avanti grazie allo straordinario impegno e lavoro di squadra di alcuni pazienti trapiantati di fegato che hanno sentito la necessità di aiutare, di poter spiegare ai malati in attesa di ricevere un organo le problematiche, i pensieri e le paure correlate all’intervento. Una fondazione che trova la sua linfa nella volontà di dare un aiuto tangibile, un supporto psicologico da parte di coloro che hanno vissuto sulla propria pelle questo percorso. In una parola: una fondazione che nasce per attenuare l’effetto paura. I trapiantati e i pazienti in lista d’attesa sono persone con bisogni di assistenza clinica, sociale e psicologica estremamente particolari per la tipologia dei trattamenti a cui vengono sottoposti. Il sistema sanitario pubblico soddisfa la maggior parte di queste esigenze in modo eccellente e con successo di cura, ma molti altri bisogni fondamentali sfuggono ancora all’attenzione degli enti di riferimento. Ecco che oggi la NTF si occupa di tutte le problematiche afferenti tutta la trapiantologia addominale, vale a dire fegato, rene e pancreas”.

Quali gli altri scopi?

“Promuovere e sostenere la ricerca scientifica nel settore dei trapianti. Grazie ai nostri soci possiamo finanziare la ricerca che, con il contributo di data manager ed esperti di statistica, si raffina e dà un contributo preciso e mirato affinché il nostro centro sia sempre più all’avanguardia. Al momento abbiamo attive tutta una serie di ricerche fondamentali in ambito trapiantologico e facciamo la nostra parte per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema così importante”.

I dati italiani in tema di donazioni di organi sono preoccupanti?

“Non quanto si possa pensare. Sfatiamo subito un luogo comune: non è vero che in Italia non ci sono donatori. Registriamo numeri di estremo rispetto. Non siamo certamente ai livelli della Spagna ma la nostra attività di donazione è soddisfacente e sicuramente maggiore rispetto a paesi quali Francia, Inghilterra e Germania. Naturalmente poi ci sono regioni più virtuose e meno ma, ad ogni modo, l’attività di donazione è buona”

Organizzate anche attività per il post- trapianto?

“Sì. Proprio adesso, tanto per fare un esempio, abbiamo in ballo delle attività di inserimento “sportivo” del paziente trapiantato, vale a dire ginnastica dolce e palestra. Abbiamo pazienti trapiantati che sono riusciti a fare anche attività agonistica come gare di sci, addirittura la maratona di New York o ciclismo. La nostra fondazione è impegnata a far capire, attraverso percorsi e iniziative mirate, che il paziente oltre a star meglio rispetto al pre-trapianto può riprendere in mano la sua vita e sicuramente condurne una nuova migliore. Pensi ai pazienti dializzati che dopo aver ricevuto un rene conducono oggi una quotidianità non paragonabile a quella precedente e a tante altre casistiche”.

La pandemia ha frenato la vostra attività trapiantologica?

“Il Covid-19 ha colpito duramente la regione Lombardia ma il nostro centro ha continuato normalmente la sua attività. Durante il lockdown non abbiamo registrato diminuzioni numeriche e, attuando protocolli rigidi e percorsi di sicurezza ancora più elevati, siamo riusciti a tenere fuori il virus dal centro; va detto che, grazie allo straordinario impegno di tutta la mia equipe, l’attività trapiantologica è proseguita senza arresti. Non era affatto scontato”.

Professore, sono suoi circa 2.500 trapianti di fegato. Se glielo avessero detto da bambino ci avrebbe mai creduto?

“Ricordo sempre il momento esatto quando, a soli 13 anni, sfogliavo le pagine dei giornali che raccontavano il primo trapianto di cuore avvenuto a Città del Capo. Era il 1967 e io ho ancora di fronte agli occhi le immagini di questo intervento realizzato in Sud Africa che sconvolse il mondo intero. È stato in quel preciso momento che ho pensato di voler diventare un chirurgo. Ho studiato medicina e, forse in un primo tempo, ero più orientato verso la chirurgia cardiaca. Poi mi sono appassionato al fegato e grazie a un pioniere come il mio maestro, il professor Belli, ho intrapreso questa strada. Da allora ne è passato di tempo…”.

di Francesca Franceschi

NTF Niguarda Transplant Foundation – Fondazione di Ricerca e Sviluppo dei Trapianti Addominali

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