Malattie metaboliche del fegato, così il long-Covid aumenta il rischio
Si chiama long-Covid. È la condizione che racchiude quella serie di sintomi e disturbi respiratori che permangono anche dopo aver superato la fase critica dell’infezione da SARS-CoV-2, nonostante l’esito dei tamponi sia sempre negativo. Uno studio pubblicato su Open Forum Infectious Diseases ha dimostrato che questa forma sarebbe associata a un maggiore rischio di sviluppare malattie metaboliche del fegato come la steatosi epatica non alcolica (NAFLD).
La NAFLD è tradizionalmente un indicatore di salute generale ed è legata alla possibilità di manifestare complicanze cardiovascolari o, nei casi più gravi, alla mortalità. Il long-Covid include fastidi che interessano vari organi, da quelli neurocognitivi ai gastrointestinali, fino a dolori muscoloscheletrici, psicologici o difficoltà respiratorie. La stima, a tre mesi dalle dimissioni dall’ospedale, è che tra il 50 e l’80% dei pazienti colpiti dal virus presenti una di queste forme. Tuttavia le malattie metaboliche del fegato compaiono anche nella fase acuta: durante i momenti più critici, infatti, capita che le persone riportino test epatici elevati, nonché lesioni a lungo termine ai dotti biliari come conseguenza dell’infezione.
I ricercatori hanno coinvolto 235 pazienti ricoverati tra luglio 2020 e aprile 2021. Di questi, il 69% era composto da uomini e l’età media era di 61 anni. Il 19,2% è stato sottoposto a ventilazione meccanica e la durata media del ricovero è stata di 11,7 giorni. Sono stati osservati i segnali del post-Covid in media 143 giorni dopo l’inizio dei sintomi legati all’infezione, con il 77,5% dei soggetti che presentava sintomi di almeno un cluster PACS. Di questi cluster, il 34,9% era neurocognitivo, il 53,2% respiratorio, il 26,4% muscolo-scheletrico, il 29,4% psicologico, il 25,1% dermatologico e il 17,5% sensoriale.
Alla successiva visita clinica per sintomi post-Covid, tutti i pazienti sono stati sottoposti a screening per individuare la malattia metabolica del fegato (MAFLD), definita come steatosi epatica più sovrappeso/obesità o diabete di tipo 2. La steatosi epatica è stata determinata in base a un parametro di attenuazione controllata mediante elastografia transitoria: l’analisi ha escluso i pazienti con assunzione significativa di alcol o epatite B o C. Tutti i pazienti con steatosi epatica avevano anche MAFLD, e questo includeva il 55,3% della popolazione dello studio.
Dato che la prevalenza della MAFLD nella popolazione in studio è risultata più che doppia rispetto alla popolazione generale, gli autori hanno suggerito che potrebbe trattarsi di un nuovo fenotipo a grappolo della sindrome long-Covid, che potrebbe portare a complicanze metaboliche e cardiovascolari a lungo termine. Una possibile spiegazione è la perdita di massa corporea magra durante il ricovero per il virus, seguita dall’accumulo di grasso nel fegato durante il recupero.
Anche altre infezioni hanno mostrato un’associazione con una maggiore incidenza di MAFLD, inclusi Hiv, Helicobacter pylori ed epatite virale. Gli autori temono che l’infezione da Covid-19 possa esacerbare le condizioni sottostanti a una steatosi epatica metabolica più grave.