Per i pazienti con colangiocarcinoma una speranza concreta arriva grazie all’oncologia di precisione
Il termine tecnico è “oncologia di precisione”. È quel procedimento che, attraverso la biologia molecolare, consente di identificare i pazienti con specifiche mutazioni, legate a una forma tumorale piuttosto che un’altra, e indirizzarli verso terapie più precise e, conseguentemente, più efficaci.
Grazie a questo nuovo approccio è possibile trattare in maniera diversa le tipologie di cancro racchiuse sotto la famiglia del colangiocarcinoma. Con questo termine, spesso generico, ci si riferisce a tutti i tumori che si sviluppano all’interno e all’esterno del fegato e che coinvolgono i dotti biliari. Tuttavia, le differenze sono molteplici. Fino a qualche tempo fa, infatti, la prassi prevedeva il trattamento con chemioterapia per ciascuna delle tipologie che si manifestavano, dalle forme intra-epatiche a quelle extra-epatiche considerandole della stessa entità di quelle del pancreas. Grazie ai passi in avanti che nel corso degli anni ha compiuto la ricerca, è possibile classificarli in maniera più precisa perché, pur derivando da cellule simili nel fegato e nella colecisti, le mutazioni genetiche che si verificano sono completamente diverse. Ecco perché, anche a livello terapeutico, si apre uno scenario su nuovi trattamenti con farmaci a bersaglio molecolare.
Nel corso del 2020, in base al report pubblicato da AIRTUM (l’Associazione italiana registri tumori) e AIOM (l’Associazione italiana di oncologia medica) nel nostro Paese sono stati 5400 i nuovi casi di tumore delle vie biliari e della colecisti. Le donne sono le più colpite rispetto agli uomini, con l’incidenza che aumenta di pari passo con l’età. I casi sono quasi nulli prima dei 40 anni, per poi toccare il picco oltre i 65. Obesità, fumo e consumo di alcol continuano a essere le cause principali di queste forme, ma molti dei fattori di rischio sono legati alle malattie del fegato come la colangite sclerosante primitiva e l’epatite B e C. I sintomi del colangiocarcinoma si avvertono quando la malattia è già in forma avanzata. Nelle forme extra-epatiche il primo segnale è l’ittero, mentre quelli intra-epatici si manifestano in maniera più subdola, quindi vengono scoperti solo più avanti. Molti pazienti possono non avvertire disturbi o, al massimo, dolore addominali e perdita di appetito o peso. Qui entra in gioco l’oncologia di precisione.
Ad oggi la chirurgia rappresenta il trattamento principale del colangiocarcinoma con la sua completa rimozione. Tuttavia, le masse che, al momento della diagnosi, consentono l’intervento, che sono cioè resecabili, oscillano tra il 20 e il 40% dei casi. La chemioterapia è la prassi per le forme non operabili, un approccio che però genera pesanti effetti collaterali. Grazie alla biologia molecolare è possibile identificare i pazienti con quelle mutazioni specifiche di un tumore piuttosto che di un altro e sviluppare trattamenti personalizzati che consentono di cambiare notevolmente l’aspettativa di vita di ciascuno. Alcune, come quelle riguardanti il gene HER2, hanno un ruolo importante nelle forme alla mammella e allo stomaco, ma sono segni distintivi anche di quelle alla colecisti. I tumori delle vie biliari extra-epatiche generano una mutazione del gene KRAS, così come una parte importante è ricoperta anche dalle mutazioni nei geni IDH1 e FGFR2, come riportato in uno studio pubblicato su Cancer Discovery. La ricerca ha mostrato che tra i 1206 pazienti coinvolti con tumore delle vie biliari extra-epatiche, la metà aveva mutazioni IDH1, condizione per la quale è previsto come farmaco specifico l’ivosidenib. Ma c’è il cosiddetto riarrangiamento di FGFR2 alla base dei tumori delle vie biliari. Lo studio ha permesso di evidenziare che nei pazienti che non avevano questa mutazione e che erano stati trattati con chemioterapia, la sopravvivenza mediana era di tre mesi. In quelli con la mutazione e che sono stati trattati con pemigatinib, il tasso di sopravvivenza aumentava.
Proprio nei giorni scorsi, la Commissione europea, dopo il parere favorevole dell’EMA, aveva dato l’ok all’utilizzo di questo farmaco per il trattamento del colangiocarcinoma avanzato o metastatico. Il risultato di questo studio rappresenta una prospettiva incoraggiante per tutte quelle persone colpite da colangiocarcinoma intra-epatico che ottengono la diagnosi quando spesso è già troppo tardi. Un nuovo approccio che consentirà terapie e percorsi clinici più efficaci e sicuri rispetto alla chemioterapia.