Focus 25 Marzo 2022

Per il colangiocarcinoma sono ancora troppe le diagnosi tardive

È considerato il secondo tumore epatico primitivo più comune. Tuttavia, per il colangiocarcinoma sono ancora troppe le diagnosi tardive, il che rende estremamente complicato il suo trattamento. Viene chiamato “tumore silenzioso” proprio per i sintomi generici che provoca.

Nel nostro Paese, nel corso degli ultimi 5 anni, i casi sono aumentati del 14%: siamo passati infatti dai 4700 del 2015 ai 5400 del 2020. Uno studio statunitense ha stimato che, tra dieci anni, i tumori primitivi di fegato, pancreas e vie biliari, incideranno più di neoplasie considerate comuni come quelle a colon o polmone. In Italia si registrano dai 3 ai 4 casi ogni 100mila ogni anno e c’è una grossa differenza tra i vari Paesi in base a quanto varia l’incidenza dei fattori di rischio. Tanto per fare un esempio, in Tailandia il rapporto è di 100 casi su 100mila abitanti: l’aumento principale riguarda la forma intraepatica. Il dato italiano significa che, in 15 anni, il numero dei casi rischia addirittura di raddoppiare. Oggi non ci sono ancora metodi ben definiti per capire in anticipo con che cosa si ha a che fare: i sintomi, purtroppo, iniziano a manifestarsi solo quando la malattia è in fase avanzata, quando cioè per almeno il 60% l’opzione chirurgica risulta inutile e la prognosi diventa inevitabilmente infausta.

Proprio per questo l’Istituto superiore di sanità ha pubblicato delle nuove linee guida che rilanciano la necessità di seguire i pazienti che sono colpiti da questa forma da equipe multidisciplinari. Se per il colangiocarcinoma sono ancora troppe le diagnosi tardive è perché gastroenterologi, oncologi, radiologi e chirurghi non sempre agiscono in team sulle persone che ne sono affette.