Focus 08 Giugno 2022

Quali sono le malattie del fegato e come si trattano

Ne esistono molte e ognuna ha caratteristiche diverse dall’altra. Alcune possono essere prevenute cercando di mantenere stili di vita sani, altre sono più silenti e, se trascurate, possono evolvere in condizioni molto più gravi fino al tumore. Dalle epatiti virali al morbo di Wilson, passando per la steatosi epatica non alcolica e l’emocromatosi, proviamo a capire quali sono le malattie del fegato, in cosa consistono e, soprattutto, quali sono i metodi di trattamento più efficaci.

Steatosi epatica non alcolica

Meglio conosciuta come “fegato grasso” è la forma più diffusa non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo. È provocata dall’accumulo di lipidi all’interno degli epatociti, le cellule del fegato. Generalmente ha origine da un’alimentazione non corretta, con eccessivo consumo di bevande zuccherine e alcoliche, nonché di cibi grassi: da qui il sovrappeso, l’obesità, il diabete e altre forme metaboliche rappresentano ulteriori fattori di rischio per la malattia. La steatosi non dà sintomi, tuttavia può cronicizzarsi e degenerare in condizioni più gravi come la steatoepatite che, a sua volta, può evolvere in cirrosi ed epatocarcinoma. Per diagnosticarla è necessario sottoporsi agli esami del sangue e analizzare i valori di transaminasi e gamma GT: anche l’ecografia può essere d’aiuto al medico per stabilire un eventuale stato di ingrossamento del fegato (epatomegalia). La sua cura consiste principalmente nel seguire uno stile di vita sano basato sulla pratica di attività fisica e su una dieta bilanciata a tavola.

Emocromatosi

È una malattia genetica provocata dall’accumulo di ferro nell’organismo a seguito della compromissione del meccanismo di assorbimento intestinale del ferro stesso. Una condizione che si ripercuote su fegato e cuore più che su altri organi. È una patologia ereditaria che ha sintomi aspecifici e si rivela soprattutto quando il danno epatico ha raggiunto livelli tali da sfociare in cirrosi (con successiva e possibile evoluzione in epatocarcinoma). La diagnosi si basa sull’analisi ematiche di: sideremia e transferrina (e sul calcolo della percentuale di saturazione di questa ultima) e ferritina. A ciò si aggiungono test genetici e misurazione del ferro epatico per la definizione delle complicanze.

Morbo di Wilson

È originato dalla mutazione di un piccolissimo pezzo di DNA che si trova nel cromosoma 13, responsabile della produzione di ceruloplasmina, una proteina che si occupa di trasportare il rame ed è indispensabile all’escrezione biliare dello stesso. Ha un’incidenza che oscilla da un caso su 30mila e a uno su 100mila: in Sardegna ci sarebbe una percentuale molto più elevata, con un caso su 8-9mila persone. La diagnosi in genere arriva molto tardi a seguito di sintomi come i disturbi del movimentodepressione o la perdita del controllo emozionale, fino alle allucinazioni e al delirio. A livello di stile di vita, i pazienti che ne soffrono devono evitare alimenti ad alto contenuto di rame come fegato di bovino, ostriche, frutta secca, funghi e legumi.

Epatite A

Se vogliamo capire quali sono le malattie del fegato, il primo passo da compiere è conoscere le epatiti virali. Tra queste c’è l’epatite A, generata dal virus che è presente nell’acqua e nei cibi contaminati. Entra in circolazione attraverso la bocca, ma il contagio può avvenire anche da contatto diretto (sessuale compreso) con soggetti già positivi. Il periodo d’incubazione è di circa un mese e, una volta debellata la malattia, il paziente è immunizzato per il resto della vita. Richiede particolare attenzione nei pazienti anziani e nei soggetti già compromessi: affaticamento, nausea, vomito, perdita dell’appetito e ingiallimento della cute e degli occhi sono tra i sintomi più diffusi. La diagnosi avviene attraverso gli esami di laboratorio (sangue e feci): non esistono terapie specifiche, in genere regredisce e scompare senza interventi esterni nel giro di 50-60 giorni.

Epatite B

A scatenarla è l’infezione del virus HBV che può avere serie ripercussioni sul fegato. In alcuni pazienti tende a cronicizzarsi, generando un progressivo malfunzionamento dell’organo che passa dall’epatite cronica alla cirrosi fino al rischio di epatocarcinoma. L’infezione può avvenire attraverso sangueliquido seminale o fluidi vaginali. Possono essere fonte di contagio anche tatuaggipedicurepiercing o procedure sanitarie effettuate senza la giusta applicazione delle norme igieniche. I sintomi, che generalmente si manifestano a distanza di 90 giorni dall’inizio dell’infezione, sono sostanzialmente simi alle altre forme di epatite: la diagnosi richiede analisi di laboratorio, a cominciare dallo studio dei marcatori virali per HBV (HBsAg positività nel sangue). Il trattamento terapeutico consiste nel sorvegliare la sintomatologia acuta, mentre nei soggetti con epatite B cronica il supporto farmacologico prevede l’impiego di farmaci antivirali sulla base delle singole necessità e in virtù di una valutazione clinica più complessiva del paziente. Qualora il fegato non dovesse recuperare integrità e funzionalità, in quanto portatore di danni estesi, lo specialista può proporre il trapianto di fegato.

Epatite C

Tra le forme virali, l’epatite C può essere considerata la più grave. L’infezione da HCV avviene tramite il sangue, in particolare attraverso lo scambio di siringhe usate: meno frequenti sono le trasmissioni per via sessuale o tra madre e figlio al momento del parto. Il rischio maggiore è rappresentato dalla cronicizzazione della malattia, fattore piuttosto frequente visto molti soggetti infetti sono asintomatici: questa condizione può portare a complicanze più serie come cirrosi e tumore. La diagnosi avviene attraverso esami di laboratorio, sia analizzando l’eventuale presenza del virus in circolazione nel sangue, sia per mezzo della biopsia epatica. Non sempre l’epatite C richiede l’intervento diretto: nei pazienti con forme blande, senza disturbi conclamati, si propende per la sorveglianza dei valori epatici nel tempo. In altre circostanze viene prescritta la somministrazione di farmaci antivirali così da favorire l’eradicazione dell’infezione con conseguente arresto della progressione della malattia verso l’insufficienza epatica.

Epatite E

L’epatite E è stata solitamente considerata un’infezione tipica dei viaggatori che si recavano in aree endemiche, soprattutto asiatiche quali Cina, India, Bangladesh, Pakistan, e sudamericane quali Perù e Messico, ma anche Africa centrale e settentrionale. Questo perché la fonte di infezione principale è l’acqua. Il virus HEV è inserito nella famiglia dei Caliciviridae ed è simile all’epatite A anche per quel che riguarda il meccanismo di trasmissione. Tra le peculiarità dell’infezione va considerata l’alta percentuale di forme cliniche fulminanti, associata a decorsi molto severi nelle donne in gravidanza e mortalità fino al 40% dei casi esaminati. Non tende mai a diventare cronica e il periodo d’incubazione oscilla tra le due settimane e i due mesi. Colpisce in prevalenza i giovani adulti (15-40 anni) e non esiste un vaccino finalizzato a evitare il contagio: la prevenzione equivale al mantenimento delle fondamentali regole d’igiene e alimentari.