Sindrome di Crigler Najjar: a Bergamo questa malattia rara del fegato si tratta con la terapia genica
Terapia genica per curare la sindrome di Crigler Najjar, una malattia genetica rara del fegato che rende l’organo incapace di eliminare la bilirubina. È la metodologia con cui sono state curate tre pazienti all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo nell’ambito del progetto internazionale di ricerca “CureCN”, promosso da Genethon (Organizzazione non-profit fondata dal AFM Telethon francese) e finanziato dalla Comunità Europea all’interno del programma “Horizon 2020”.
La conseguenza di questa patologia è che la bilirubina si accumula nel sangue e nei tessuti e, se non si adottano misure specifiche per ridurne i livelli, si deposita nel sistema nervoso centrale causando danni cerebrali irreversibili. Un po’ come se l’ittero fisiologico dei neonati persistesse per tutta la vita anziché risolversi rapidamente. L’unica strategia per tenere sotto controllo i livelli di bilirubina è sottoporsi a fototerapia a raggi ultravioletti, così come fino ad oggi l’unica procedura per guarire completamente è stata il trapianto di fegato.
La nuova cura invece non prevede alcun intervento chirurgico, ma l’inoculazione in una vena del braccio di un virus innocuo, svuotato del suo corredo genetico e sostituito con il gene da correggere.
La prima ad essere stata curata con questo approccio innovativo è stata Gaia, 28enne, di Varese. Era il 18 novembre 2020 quando all’ospedale di Bergamo le è stato iniettato questo virus, chiamato in gergo tecnico adeno-associato, che ha poi raggiunto il fegato ed è entrato nel nucleo delle cellule, liberando il piccolo frammento genetico che si è posizionato accanto al DNA della paziente. Qui ha iniziato a produrre la proteina che i cromosomi originari non erano in grado di sintetizzare, a causa della mutazione che determina la malattia.
“Per tutta la vita ho dormito ogni notte sotto la luce blu di una lampada UV per contenere il più possibile i livelli di bilirubina, scongiurare possibili danni neurologici e cercare di mitigare il colore giallo della pelle, che spesso ha creato disagio psicologico e sociale – ha spiegato la giovane – Il trapianto di fegato era l’unica soluzione per guarire, ma oggi la terapia genica per Crigler-Najjar è una realtà”.
“Dopo quattro mesi di osservazione abbiamo constatato che la terapia ha permesso di raggiungere l’obiettivo principale che ci eravamo preposti, cioè una riduzione della bilirubina che permettesse la sospensione della fototerapia – ha spiegato Lorenzo D’Antiga, direttore della Pediatria dell’ospedale bergamasco nonché principal investigator della sperimentazione all’International Liver Congress dell’EASL (la Società europea di Epatologia) – Gaia finalmente ha smesso di dormire sotto le lampade blu della fototerapia. Nel frattempo abbiamo trattato altre due pazienti, una delle quali sospenderà la fototerapia in questi giorni. Ora il nostro obiettivo è quello di mantenere l’efficacia a lungo termine“.
Oltre al Papa Giovanni XXIII di Bergamo, capofila nell’arruolamento dei pazienti, fanno parte del progetto di ricerca anche TIGEM Pozzuoli (Organizzazione non-profit fondata dal Telethon italiano) e gli ospedali universitari di Amsterdam AMC e Parigi Antoine Béclère. “Il nostro è tra i centri di riferimento in Europa per la cura delle malattie epatiche nei bambini, comprese quelle rare, che hanno impatti devastanti sulla vita dei bambini e delle loro famiglie – ha commentato Maria Beatrice Stasi, Direttore Generale dell’ASST – Qui, in parallelo a un’intensa attività trapiantologica, sono attivi numerosi progetti di ricerca che non si sono mai fermati nonostante le difficoltà legate alla pandemia. Dall’emergenza sanitaria siamo riusciti anche a trarre insegnamenti importanti, abbiamo dato un contributo fondamentale alle conoscenze sulla malattia da Coronavirus e confermato il contesto internazionale in cui l’ospedale si posiziona”.
Il gruppo di lavoro del Papa Giovanni di Bergamo continuerà la sperimentazione della terapia genica su altri pazienti, con malattie rare non solo del fegato, per completare il progetto che prevede in totale il trattamento di 17 pazienti.