Focus 07 Settembre 2020

Steatoepatite non alcolica, uno studio spiega perché è cinque volte maggiore nelle persone con diabete

La steatoepatite non alcolica (NASH) sarebbe cinque volte più frequente nelle persone affette da diabete. Lo stabilisce uno studio pilota inglese presentato nei giorni scorsi in occasione del Digital ILC 2020, il congresso dell’Associazione europea per lo studio del fegato.

All’origine del problema c’è la malattia del fegato grasso (la NAFLD, steatosi epatica non alcolica) che colpisce fino al 25% degli adulti nel mondo. Si tratta di una forma progressiva che con il tempo può portare a infiammazioni e cicatrici (fibrosi), fino appunto alla NASH. In tutto questo gioca un ruolo di primo piano il diabete di tipo 2, in quanto non solo rappresenta un importante fattore di rischio per il fegato grasso tanto da coincidere con il 50% dei casi diagnosticati, ma anche un potenziale acceleratore verso la steatoepatite non alcolica e la cirrosi epatica.

Lo studio ha portato a scoprire come il 4,8% dei pazienti con diabete coinvolti avesse anche fibrosi o cirrosi epatica in stato avanzato, con conseguente rischio di sviluppare un tumore al fegato ed essere poi costretti a sottoporsi a trapianto. Per i soggetti sopra ai 35 anni è stato calcolato un punteggio FIB-4 (un’unità di misura della potenziale fibrosi in base ai biomarcatori del sangue e all’età): 84 di loro ha riportato un punteggio superiore al cut-off in relazione all’età e di questi 56 erano idonei a valutare la fibrosi attraverso il FibroScan (la elastografia transitoria). I pazienti affetti da fibrosi o cirrosi avanzata sono poi stati coinvolti in programmi specifici di sorveglianza: la percentuale del 4,8% rappresenta un aumento nelle diagnosi di malattie epatiche rispetto ai precedenti studi effettuati sempre su pazienti con diabete.

Inoltre, oltre il 50% dei soggetti a cui è stata diagnosticata una patologia epatica di questo tipo ha fatto registrare livelli normali di ALT (l’alanina aminotransferasi).

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