Focus 19 Maggio 2021

Steatosi epatica non alcolica, le cellule immunitarie hanno un ruolo chiave nello sviluppo della malattia

Il loro nome è CXCR3 + Th17 o ihTh17. Sono cellule T immunitarie, infiammatorie. Sarebbe loro il ruolo chiave dietro all’infiammazione eccessiva e ai danni potenzialmente letali al fegato che si sviluppano a seguito della steatosi epatica non alcolica (NAFLD). È quanto emerge da uno studio condotto al Cincinnati Children’s Hospital Medical Center e pubblicato su Cell Metabolism.

Si tratta della malattia epatica cronica più diffusa nel mondo e la principale causa di trapianti di fegato non solo negli adulti, ma anche nei bambini: in mancata disponibilità di intervento, può essere fatale, un fattore confermato dai numeri secondo i quali ogni anno oltre 30mila persone perdono la vita per la NAFLD. Programmi dietetici, esercizio fisico o farmaci hanno rappresentato nel corso degli anni il modo generalmente più utilizzato per contrastare questa forma epatica. Tuttavia, una volta diagnosticata, perdere peso non è poi sufficiente al suo superamento. In base a quanto sviluppato dai ricercatori statunitensi, è emerso che l’eccessiva deposizione di grasso nel fegato, per via dell’obesità, può alterare il microambiente epatico in modo da attirare una popolazione specifica di cellule T immunitarie. Queste, chiamate cellule epatiche infiammatorie CXCR3 + Th17 o cellule ihTh17, continuano a provocare un’infiammazione eccessiva e danni all’organo potenzialmente letali.

Gli esperimenti effettuati con cellule e tessuti umani e topi geneticamente modificati hanno evidenziato che è l’obesità stessa a dare origine a un percorso molecolare con un’espressione eccessiva dei geni CXCL10 e CXCR3. Una condizione che attira sempre più cellule immunitarie verso il fegato, con un conseguente ciclo infiammatorio che contribuisce a danneggiare le funzionalità epatiche. Per provare a interrompere questo processo, i ricercatori hanno allevato topi privi di espressione del gene Pkm2 nelle cellule T: quando a questi animali è stato somministrato un tipo di dieta che predispone all’obesità, hanno preso comunque preso, ma senza subire i danni al fegato riportati dai topi non modificati. Molti dei geni chiave e delle attività molecolari registrati nei roditori potrebbero riguardare anche le cellule umane.

Un risultato che, se confermato da studi successivi, aprirebbe la porta a nuove terapie per ridurre i danni generati dalla steatosi epatica non alcolica.