Focus 01 Febbraio 2022

Tumore del fegato in stadio avanzato, le opzioni da seguire

Benché l’Italia sia riuscita, nel corso degli anni, a migliorare la prognosi dei pazienti che ne sono colpiti, l’epatocarcinoma continua a essere la neoplasia del fegato più diffusa con circa 13mila nuove diagnosi ogni anno proprio nel nostro Paese. Se individuato precocemente può essere trattato chirurgicamente, con chance di guarigione piuttosto elevate in particolare nei soggetti che possono sottoporsi a trapianto. Diverso invece il discorso con questo tumore del fegato in stadio avanzato.

Oltre il 70% delle diagnosi è legato a una patologia epatica già esistente: dalla cirrosi legata a epatite e consumo di alcol, fino alla steatosi epatica correlata a disfunzione metabolica. A queste si aggiungono obesitàdiabete o ipertensione. Se però oggi il numero delle neoplasie correlate a tali forme è in calo, gran parte del merito va a vaccini e antivirali contro le epatiti B e C. Ecco perché è possibile prevenire l’epatocarcinoma adottando uno stile di vita sano, che passi da una corretta alimentazione e da una regolare attività fisica, escludendo dalle abitudini il fumo e l’abuso di alcol. 

La prognosi, oggi, è migliore rispetto agli anni passati in particolare quando il tumore del fegato viene individuato precocemente: il trattamento chirurgico, infatti, in questo caso è possibile e il paziente gode di buone chance di guarigione soprattutto se in condizione di sottoporsi al trapianto. Per arrivare a questo, tuttavia, soprattutto per i soggetti a rischio, è importante sottoporsi a ecografie periodiche (ogni sei mesi circa) che aiutino gli specialisti a individuare l’epatocarcinoma allo stadio iniziale: un qualcosa che però è possibile solo per chi soffre di epatiti virali, mentre le neoplasie nate da alcol, obesità o problemi metabolici vengono diagnosticate solo nelle fasi avanzate quando l’intervento chirurgico non è più una strada percorribile.

La chemioembolizzazione è invece il trattamento che, nella maggior parte dei casi, viene adottato nella cosiddetta fase intermedia, quando l’epatocarcinoma è ancora limitato al fegato, ma troppo sviluppato per poter intervenire chirurgicamente. È una procedura che consiste nell’iniezione di agenti chemioterapici associati a sostanze inerti in uno o più vasi arteriosi di una massa tumorale, con l’obiettivo di ottenere la necrosi del tumore stesso proveniente da vasellini arteriosi di pertinenza dell’arteria epatica. 

Di fronte al tumore del fegato in stadio avanzato, quando cioè ha raggiunto la vena porta o generato metastasi extraepatiche, l’unica soluzione è la somministrazione di farmaci che ne rallentino la progressione. Sebbene la prognosi non sia felice, una terapia di combinazione di due anticorpi monoclonali, atezolizumab e bevacizumab, ha dimostrato di inibire la formazione dell’epatocarcinoma in nuovi vasi sanguigni grazie alle sollecitazioni verso il sistema immunitario che attacca le cellule cancerogene. Un trattamento che si sta rivelando più efficace in termini di sopravvivenza rispetto a sorafenib, il medicinale che da circa dieci anni rappresentava il trattamento standard per i casi di epatocarcinoma.

In attesa di nuove soluzioni farmacologiche, è quindi sempre più necessario riuscire a gestire al meglio i pazienti in tutte le fasi del percorso di cura, perché solo con una buona funzionalità epatica è possibile sottoporsi alle cure.