Focus 07 Ottobre 2022

Un programma multidisciplinare per i pazienti con malattia epatica avanzata

Un percorso assistenziale rivolto a quelle persone che, per via della loro condizione, non risultano idonee al trapianto di fegato. Si chiama “Liver Home” ed è il nuovo programma multidisciplinare, supportato dalla Yale School of Medicineper i pazienti con malattia epatica avanzata.

La necessità di sviluppare questo piano di intervento, spiegano dall’università americana, è nata dall’esigenza di approfondire e gestire i determinanti sociali della salute, come le difficoltà di alloggio, di trasporto e di accesso a cibo nutriente. Un qualcosa che porterebbe beneficio non solo alle persone interessate, ma anche all’intero sistema sanitario nazionale. L’obiettivo è quello di offrire alternative per l’assistenza ambulatoriale, in modo che i pazienti non siano costretti a recarsi in ospedale per la cura della cirrosi. Questa conseguenza di molte malattie croniche del fegato si genera quando il tessuto fibroso si accumula, compromettendo la funzionalità epatica e portando potenzialmente all’insufficienza. Può derivare da un uso eccessivo di alcol o da un’infezione da virus dell’epatite B o C, anche se attualmente l’indicazione al trapianto di fegato in più rapida crescita è la malattia del fegato grasso non alcolica, riscontrata nelle persone affette da obesità.

Un obiettivo del programma è quello di ridurre le visite evitabili al pronto soccorso, i ricoveri e la durata della degenza. I pazienti con malattia epatica avanzata, infatti, spesso vanno incontro a complicazioni della cirrosi come l’ascite o l’encefalopatia epatica che comportano ricoveri ricorrenti e sono associate a un alto tasso di mortalità. Nella maggior parte dei casi, l’unico trattamento curativo è il trapianto di fegato, ma per molte persone questo non è possibile a causa di barriere psicosociali, disturbi da uso di sostanze o altre comorbidità mediche. “Liver Home” mira a fornire un’assistenza centrata ai pazienti non trapiantabili. Attraverso un piano triennale, faciliterà l’accesso ai servizi di assistenza sociale, alla medicina delle dipendenze e alla nutrizione, con l’obiettivo finale di migliorare i risultati dei pazienti, come la candidatura al trapianto e la sopravvivenza. Tanto per fare un esempio, l’assistente sociale identificherà e affronterà le barriere sociali che limitano l’impegno dei pazienti nelle cure e li assisterà nella gestione dei loro disturbi da uso di sostanze. 

Il programma integrerà, infine, un operatore sanitario di comunità e un infermiere navigatore, per aumentare l’aderenza dei pazienti alle visite ambulatoriali, ai test e alle terapie. L’idea sarebbe quella di avviare un monitoraggio da remoto dei pazienti per la misurazione della pressione sanguigna e la pesatura quotidiana a casa. Sarebbe così possibile ottenere i dati trasmessi attraverso la cartella clinica elettronica, in modo da poter modificare tempestivamente il trattamento, anziché reagire quando le persone chiamano perché si stanno ammalando. Per i pazienti con ascite grave, l’unico modo per migliorare i sintomi è il drenaggio del liquido: offrire questo servizio significherebbe, anziché inviarli alla radiologia interventistica, regolare contemporaneamente i loro diuretici e altri farmaci. Anche in questo caso, l’obiettivo è ottimizzare il più possibile l’assistenza ambulatoriale per evitare visite al pronto soccorso o ricoveri ospedalieri.