Trapianto da donatore vivente nei bambini
Confermati i maggiori benefici immunologici

Quali sono, e in cosa consistono, i benefici del trapianto di fegato da vivente nei bambini?
A questo interrogativo – ripreso dal sito www.trapianti.net – danno una prima risposta i ricercatori del Columbia University Medical Center attraverso lo studio retrospettivo dedicato ai risultati del trapianto in 241 piccoli pazienti: 64 dei quali da donatore vivente (il 26,5% del campione preso in esame) e 177 da donatore cadavere (il 74,4% del panel considerato).
L’esito della ricerca ha portato a verificare che nei pazienti trapiantati in età pediatrica, il trapianto di fegato da donatore vivente fornisce “benefici immunologici e clinici significativi rispetto a quello da cadavere”.
Perché?
Perché lo studio – si legge ancora nell’articolo pubblicato da www.trapianti.net – dimostra chiaramente che i ‘graft’ da donatori viventi presentano minori rischi immunologici nel lungo termine; associando ad essi anche importanti vantaggi sotto il profilo clinico.
In altre parole, il rigetto cellulare acuto compariva in percentuale superiore tra i trapianti da cadavere (39%) in rapporto a quelli trapiantati da vivente (il 20,3%).
Aggiungendo e aggiustando le percentuali sulla base di ulteriori elementi si è poi potuto asserire come il trapianto da vivente fosse correlato a un rischio di rigetto cellulare acuto inferiore del 47%.
Così come l’incidenza del rigetto cronico è comparsa in maniera più evidente e alta nei trapianti da donatore cadavere rispetto a quella riscontrata nel donatore vivente (13% a fronte del 4,7%).
Per quel che riguarda quest’ultimo aspetto, gli altri fattori che ‘pesano’ sul rigetto cronico vanno individuati, sempre secondo i ricercatori statunitensi, nella razza afroamericana o nera; nella complicanza alle vie biliari; nelle patologie autoimmuni e negli eventi di rigetto cellulare acuto.
Ma c’è di più.
I pazienti trapiantati da donatore vivente avevano molte più probabilità di raggiungere, in monoterapia, una sopravvivenza del trapianto a 3 anni.
Infine, i ‘graft’ materni hanno comportato minor rischio di rigetto cellulare acuto e disturbi linfoproliferativi post-intervento; senza però incidere sulla differenza del fallimento del trapianto o sulla mortalità dei riceventi.
(Fonte: www.trapianti.net)