Il virus dell’Epatite E (HEV) è inserito nella ‘famiglia’ dei Caliciviridae.
Piuttosto simile all’Epatite A ha meccanismi di trasmissione identici a quest’ultima.
Il virus, infatti, viene espulso dall’organismo mediante la bile e dunque le feci.
Il contagio, pertanto, è detto feco-orale.
La fonte d’infezione principale è l’acqua inquinata: da qui le epidemie registrate nel subcontinente indiano, nella Russia asiatica, in Medio Oetiente, Nord Africa e Centro America.
Questa infezione di fatto è endemica in alcune aree rurali di alcuni Paesi in via di sviluppo e i non frequenti casi riscontrati nei Paesi occidentali sono stati spesso addebitati all’introduzione da parte d’immigrati di cibo contaminato.
In particolare, siccome è il maiale ad essere vettore dell’infezione, non sono i musulmani osservanti ad essere colpiti dalla malattia o a poterla diffondere.
Tra le peculiarità dell’infezione da Epatite E va considerata l’alta percentuale di forme cliniche fulminanti, associata a decorsi molto severi nelle donne in gravidanza – specie nel 3 trimestre – e mortalità fino al 40% dei casi esaminati.
La malattia non tende mai a diventare cronica.
Il periodo d’incubazione oscilla tra le due settimane e i due mesi.
Colpisce in prevalenza i giovani adulti (15-40 anni) e ‘produce’ una guarigione permanente.
Non esiste un vaccino atto a prevenirla e la prevenzione equivale al mantenimento delle fondamentali regole d’igiene e alimentari.