16 Giugno 2022

“L’attesa, l’operazione, il post-trapianto: la nostra esperienza vale una vita intera”

di Francesca Franceschi

“Essere in attesa di ricevere un organo è la sensazione peggiore del mondo. Hai la certezza che devi subire un’operazione chirurgica dalla quale non sai come e se ne uscirai e, al tempo stesso, sei consapevole che non c’è altra strada da percorrere se non proprio quel tavolo operatorio. Sei dominato da paura e coraggio e ti chiedi ogni giorno, per mesi, quale dei due sentimenti avrà la meglio”. Lo dice fuori dai denti, commosso, senza reticenze, precisando che non sta piangendo Marco Borgogno, 79 anni, presidente dell’Associazione Italiana trapiantati di fegato e, dal 5 aprile 2001, in vita e in buona salute grazie al fegato che ha ricevuto da un donatore che gli ha permesso di sconfiggere, dopo una lunga battaglia, l’epatite C e il carcinoma epatico dai quali era affetto. È una storia di lotta, di coraggio e di resistenza ma anche, ed inevitabilmente, di una spessa corazza che, anno dopo anno, si è stratificata per affrontare le intemperie e i mutamenti della vita. “Proprio quando avevo pensato di dover scrivere il mio testamento ho cambiato rotta, virando verso un libro divertente e pieno di aneddoti. Del resto cosa potevo fare? Il professor Mauro Salizzoni – che oltre vent’anni fa mi ha operato a Le Molinette di Torino – mi aveva detto chiaramente che se fossi stato suo fratello, viste le mie condizioni cliniche, mi avrebbe dato un nuovo fegato il giorno stesso”.

Ma così non è stato. Sono serviti quasi nove mesi di pazienza ed estenuante attesa, terapie mirate, impegni lavorativi appositamente ricercati per tenere occupata la mente e mezze bugie per evitare di rivelare una scomoda verità all’anziana madre. Non è certo facile raccontare ai propri familiari la verità: ovvero, che serve ed è impellente un fegato nuovo per vivere e che, al contempo, non è poi così certo né garantito sopravvivere. Specie per la famiglia di Borgogno, sindaco per 20 anni di Borgo San Dalmazzo, Comune del cuneese di circa 13mila abitanti, che era da pochi anni uscita dal calvario per il trapianto di fegato ricevuto qualche anno prima da suo cognato. Una beffa del destino o, se vogliamo, un filo rosso comune che nella sofferenza ha unito ancora di più una famiglia e due pazienti che si sono trovati, gioco forza, a combattere due volte la stessa battaglia.

Eppure, nonostante siano passati quasi vent’anni anni e i passi avanti in questo settore siano tangibili ed evidenti, c’è ancora tanta strada da fare. In primis per sensibilizzare un Paese che presenta ancora, da nord a sud, troppe disparità e una non omogena linea di azione. Ne parliamo proprio con Borgogno, dal 2014 al vertice di AITF nazionale, l’associazione italiana trapiantati di fegato nata nel 1988 a Torino per volontà del suo fondatore, l’ingegner Carlo Maffeo.

Presidente, quali sono gli scopi della vostra associazione?
Il Presidente Marco Borgogno

“La nostra ragion d’essere si fonda sul sostegno morale e l’aiuto concreto ad adulti e bambini prima, durante e dopo il trapianto. Abbiamo una decina di delegazioni in tutta Italia, alcuni referenti di zona e preziosi volontari che dedicano il loro tempo gratuitamente sia per la gestione associativa sia per sostenere i malati negli ospedali. Inoltre, nei limiti delle possibilità economiche, ci adoperiamo – cercando collaborazioni e intese con enti pubblici, organizzazioni sanitarie e associazioni consorelle – per promuovere l’attività di ricerca e di studio, informare e sensibilizzare l’opinione pubblica sulle problematiche della donazione degli organi, con l’amara consapevolezza che non tutti i pazienti in lista d’attesa possano, oggi, aver la certezza di continuare a vivere”

Di che numeri stiamo parlando?

“In questo preciso momento in Italia ci sono 8.100 persone in attesa di un organo solido (fegato, cuore, rene, polmone). Facile intuire che se non diffondiamo al più presto una corretta informazione e campagne di sensibilizzazione ad hoc per far comprendere l’importanza della donazione, non tutti riusciranno a sopravvivere. Pensi che un singolo donatore può aiutare, parlo anche di tessuti, cornee ecc, solo fino a 7 persone. La strada da fare è dunque ancora molto in salita…”.

Quanti donatori ci sono attualmente nel nostro Paese?

“Ad oggi sono complessivamente più di 13milioni gli italiani che hanno dato adesione ad un’eventuale possibilità di donazione degli organi e hanno detto il loro sì in Comune al momento del rinnovo o rilascio della carta d’identità. Una possibilità che certamente ha fatto aumentare il numero dei donatori ma questo campo, per le ragioni più disparate, incontra ancora oggi molti ostacoli e contrarietà. Forse per mancanza di informazioni, credenze religiose, ignoranza o anche semplice paura. Eppure i dati non mi fanno dare una spiegazione logica. Pensi che in Toscana le opposizioni al prelievo di organi sono al 25% mentre in Calabria si aggirano intorno al 50%: questo significa che la nostra campagna informativa deve essere ancora più diffusa in alcuni specifici luoghi dello stivale”.

Il meridione, per quanto riguarda i trapianti di fegato, registra ancora forti sofferenze?

“Le do solo alcuni dati. Ci sono 22 centri trapianto di fegato sparsi in tutta Italia ma solo da Roma in su se ne realizzano l’80%. Questo significa che, seppure al sud ci siano i centri di Napoli, Palermo, Bari e Ancona, la maggior parte di queste operazioni si realizza nel Nord Italia. Sono infatti ancora oggi moltissimi i pazienti del meridione che si rivolgono alla nostra associazione che ha sede a Le Molinette. Pensi che l’equipe del professor Salizzoni a Torino dal 1990 al 2020 ha realizzato, raggiungendo un record mondiale quantitativo e qualitativo, ben 3500 trapianti di fegato”

Dove sta il punto di caduta?

“Trovo eccessivo che in Italia ci siano 96 centri di trapianto. Preferirei un Paese con meno centri ma molto più efficaci, operativi e diffusi equamente in tutto lo stivale”

Cosa significa vivere con la consapevolezza di poterlo fare grazie ad un’altra persona?

“Lotti ogni giorno e fai i conti con un’accettazione psicologica non sempre facile. Noi trapiantati nutriamo un grato, profondo e silenzioso rispetto nei confronti del nostro donatore. Non è facile spiegare cosa avviene dentro di noi. Sai benissimo di avere all’interno del tuo corpo un pezzo di un’altra persona e questa consapevolezza talvolta crea una sorta di psicosi perché ti senti in debito verso la società. Altre volte invece vorresti configurarti de visu la persona che ti ha donato il fegato per poi cambiare repentinamente idea e provare con tutte le forze a cacciare questi pensieri sentendoti anche un po’ vigliacco”

Che vita conduce un trapiantato?
A settembre 2017 sono stati raggiunti 3000 trapianti di fegato

“Dipende, non è per tutti uguale. Io, per esempio, dopo il trapianto sono rinato. L’epatite C, i farmaci anti-cancro e la chemioembolizzazione mi avevano letteralmente annientato. Dopo l’operazione ho ripreso in mano la mia vita: ho scritto libri, ho percorso la costa americana del Pacifico in sella all’Harley Davidson, sono andato e vado in montagna.  Altri invece continuano a sentirsi malati e fragili. Ma c’è un aspetto che ci accomuna tutti, nessuno escluso: ognuno di noi si sente provvisorio e vive in un limbo dominato da una labile precarietà costante. Sapere che hai una data di scadenza, inutile girarci intorno, ti condiziona. Non fai mai progetti a lungo termine, pensi nel “qui e ora” e provi ad allontanare l’unico dato certo, ossia che la vita media di un trapiantato statisticamente si aggira sui 17-18 anni. Va detto però che in passato non c’era come adesso un sostegno piscologico costante offerto minuziosamente da un’equipe di esperti. I tempi fortunatamente sono cambiati e grazie al servizio sanitario nazionale molti di noi sono qui e possono raccontare la loro esperienza”.

Si ricorda il momento preciso in cui le è stato detto che era arrivato il suo fegato?

“Certamente. Ero in Comune, nella mia stanza del sindaco, e stavo ricevendo delle persone. Erano passati 9 mesi dalla visita con Salizzoni e solo una cerchia ristretta di persone conosceva la mia situazione personale e clinica. Se rivedo le mie foto di quel periodo mi sembra di vedermi gli occhi fuori dalla testa. Eppure continuavo a fare l’amministratore pubblico e l’imprenditore, perché lavorare mi aiutava molto. Ricevo la telefonata dall’ospedale, sospendo il colloquio e comunico al segretario generale del Comune che mi sarei ricoverato. Ho guidato da solo la mia macchina e dopo poche ore, il 5 aprile 2001, ero sul tavolo operatorio. Il 29 aprile 2001, con le mie gambe, sono tornato in Comune e ho continuato il mio mandato”

Come si è sentito quando ha ricevuto la telefonata più attesa?

“Sollevato. Sembra strano da credere ma ero il più sereno di tutti. Avevo 58 anni, mi dicevo convintamente che ero pronto anche a morire. Pensi che sono rimasto in ospedale solo 9 giorni. Dobbiamo essere grati alla sanità pubblica, alle nostre eccellenze chirurgiche e dovremmo parlarne di più. Trent’anni fa un trapianto era visto quasi come un miracolo. Oggi, con le dovute cautele, è diventato un’operazione chirurgica alla stregua di molte altre. La pandemia ha però amplificato, a macchia d’olio, quell’individualismo che era già molto insito nella nostra società, ed ecco che è ancor più necessario fare la nostra parte per diffondere ed educare anche le nuove generazioni alla cultura della donazione”

Qual è la sua prossima sfida?

“In Italia ci sono tre associazioni nazionali di trapiantati di cuore, rene e fegato e tutte e tre stiamo collaborando con l’obiettivo di raggiungere una sorta di federazione. In questo modo avremo più forza e compattamente potremo combattere la nostra battaglia per sostenere i pazienti che, in questo percorso non sempre facile, non debbono mai, neppure per un instante, sentirsi soli”

L’Associazione Italiana trapiantati di fegato ha sede presso l’Ospedale Molinette – Corso Bramante, 88 – Torino. Tel. 011/6336374.
Sito: www.aitfnazionale.it – mail: aitfnazionale@libero.it