Donazioni in calo e rischio di contagio, così il Covid sta condizionando l’attività trapiantologica
di Emiliano Magistri
Calo del 40% delle segnalazioni di potenziali donatori multiorgano, nonché della media settimanale dei trapianti. L’emergenza Coronavirus sta condizionando non poco l’intera attività trapiantologica italiana e i numeri lo confermano.
Nonostante le indicazioni di ministero della Salute e Centro nazionale trapianti, relative al “livello essenziale di assistenza e manovra salvavita” in cui rientra il trapianto e alla necessità di “evitare che la cronica carenza di organi possa essere ulteriormente accentuata dalla pandemia in corso”, alcune regioni italiane stentano, in particolare quelle maggiormente caratterizzate dal contagio, a mantenere l’attività di donazione e a inserirla nella riorganizzazione dei rispettivi servizi.
Molti ospedali hanno dovuto far fronte a una drastica rivoluzione interna, con reparti interamente dedicati ai pazienti positivi al Covid, spesso più numerosi di altri ricoverati, e blocchi operatori “trasformati” in aree straordinarie di terapia intensiva. Ma non solo. Come spiega il dottor Sergio Vesconi, anestesista ed ex coordinatore regionale lombardo per l’attività di donazione e trapianto, “il primo effetto dell’emergenza è stata la diminuzione delle segnalazioni di potenziali donatori in morte encefalica, mentre si sono azzerati i casi di donazione a cuore fermo”. E i dati lo confermano: “La media delle segnalazioni di potenziali donatori multiorgano – spiega – nelle prime otto settimane del 2020 era stata di 55, per scendere a 34 nelle seconde cinque settimane, per un calo pari a circa il 40%. E questa tendenza non riguarda solo le aree più colpite dalla pandemia, come Lombardia, Emilia Romagna, Veneto o Piemonte, ma risulta sempre più estesa all’intero territorio nazionale”.
Un processo di identificazione del potenziale donatore compromesso non solo per quel che riguarda la variazione nel case-mix, ma anche per la difficoltà logistica nella gestione di questi casi (ricerca e carenza di posti letto, personale o altre risorse). E poi la difficoltà di relazione con i familiari. Le restrizioni di accesso in ospedale, infatti, complicano l’instaurarsi di una relazione tra i parenti del malato e lo staff sanitario, con conseguente difficoltà non solo nel trovare canali di informazione e condivisione, ma anche di individuare l’eventuale proposta di donazione soprattutto a cuore battente.
Quel concetto della donazione come attività straordinaria e quindi sacrificabile rispetto alla normale attività. Ma è davvero così? “Dal punto di vista etico possiamo parlare di una sorta di conflitto di interessi che si crea quando le risorse disponibili sono limitate e si pone la necessità di dover scegliere – spiega Vesconi -. Identificare un potenziale donatore multiorgano e portare avanti il processo di donazione può essere vissuto come un sottrarre risorse teoricamente destinabili ad altri casi, quantomeno per la durata dell’osservazione fino al termine dell’eventuale prelievo”.
E la possibilità di ricevere un trapianto è spesso compromessa anche in strutture ospedaliere di alto livello, come ad esempio l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dove gran parte dei posti letto è occupata da pazienti Covid-19. Un’attività, quella dei trapianti, messa in discussione non solo da problemi di natura organizzativa, ma anche etico-deontologica, con alcune regioni che hanno addirittura deciso di sospendere, seppur temporaneamente, gli interventi.
Ma è giusto allora interrompere un’attività per dare precedenza a un’altra? È opportuno esporre i pazienti immunodepressi a un ulteriore rischio di serie complicanze legate a un possibile contagio dal virus? “Alcune osservazioni preliminari indicano che il tasso di infezione e l’andamento clinico non sembrano essere influenzati negativamente dal recente trapianto – sottolinea Vesconi -, mentre i soggetti con trapianto più datato, e in genere con altre comorbidità associate, hanno un’evoluzione peggiore. Occorre tuttavia tener presente che allo stato attuale l’emergenza sta interessando in maniera diversa le singole realtà regionali e che in alcune strutture l’attività di trapianto può svolgersi con una relativa regolarità. Di conseguenza appare del tutto logico mantenere nei limiti del possibile l’attività di procurement, mettendo gli organi donati a disposizione dell’intera rete nazionale, sul modello della gestione delle eccedenze”.
Cosa sarebbe opportuno fare per gestire gli aspetti organizzativi e garantire i diritti dei pazienti in lista d’attesa? “In particolare per andare incontro alle esigenze di quelli più a rischio – conclude – la rete propone il rafforzamento del concetto di sistema, con una maggior integrazione a livello regionale e nazionale delle liste, delle equipe di prelievo e di trapianto, eventualmente con il trasferimento dei pazienti verso centri con minor pressione”.
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