Focus 17 Novembre 2021

Quali sono le malattie rare del fegato e come trattarle

Quando ci troviamo di fronte a problemi epatici si è soliti concentrarsi e approfondire le condizioni generalmente più diffuse: epatite C, steatosi, cirrosi, tumore. Tuttavia, sono diverse le malattie rare del fegato di cui spesso non sentiamo parlare, ognuna con una propria storia, un’origine, una difficoltà più o meno marcata di diagnosi, una terapia da seguire.

Dopo aver analizzato insieme quelle autoimmuni, cerchiamo di far luce su altre di queste.

Emocromatosi

Questa malattia genetica determina l’accumulo di ferro nell’organismo a seguito della compromissione del meccanismo di assorbimento intestinale del ferro stesso. Questo accumulo si ripercuote su fegato e cuore più che su altri organi. È una patologia ereditaria che ha sintomi aspecifici e si rivela soprattutto quando il danno epatico ha raggiunto livelli tali da sfociare in cirrosi (con successiva e possibile evoluzione in epatocarcinoma). Altre forme come diabete, disfunzione erettile, assenza di menarca nella donna (amenorrea), sterilità, grave scompenso cardiaco, aritmie, artropatie e osteoporosi, sono sintomi che si aggiungono a quelli tipici della cirrosi. La diagnosi si basa sull’analisi ematiche di: sideremia e transferrina (e sul calcolo della percentuale di saturazione di questa ultima) e ferritina. A ciò si aggiungono test genetici e misurazione del ferro epatico per la definizione delle complicanze. In linea di massima il regime alimentare non contribuisce in maniera diretta all’accumulo del ferro in eccesso che deve essere rimosso con i salassi.

Morbo di Wilson

Questa malattia è originata dalla mutazione di un piccolissimo pezzo di DNA che si trova nel cromosoma 13, responsabile della produzione di ceruloplasmina, una proteina che si occupa di trasportare il rame ed è indispensabile all’escrezione biliare dello stesso. Ha un’incidenza che oscilla da un caso su 30mila e a uno su 100mila: in Sardegna ci sarebbe una percentuale molto più elevata, con un caso su 8mila-9mila persone. La diagnosi in genere arriva molto tardi a seguito di sintomi come i disturbi del movimento, depressione o la perdita del controllo emozionale, fino alle allucinazioni e al delirio. Le terapie farmacologiche si basano sui chelanti, sostanze che agevolano l’eliminazione del metallo. A livello di stile di vita, i pazienti che soffrono del Morbo di Wilson devono evitare alimenti ad alto contenuto di rame come fegato di bovino, ostriche, frutta secca, funghi e legumi.

Deficit di Alfa-1-antitripsina

L’alfa-1-antitripsina è una proteina sintetizzata del fegato che si occupa di inibire alcuni enzimi prodotti come difesa del nostro organismo. Un livello elevato di questi enzimi può provocare lesioni ai tessuti, in particolare ai polmoni. Il deficit compromette le funzionalità respiratorie e favorisce l’insorgere dell’enfisema. Chi è affetto da questa forma può subire delle conseguenze al fegato, con comparsa di ittero già nei primi giorni o mesi di vita. La diagnosi, posta in base alle caratteristiche cliniche, è confermata dalla quantificazione dei livelli di alfa-1-antitripsina e dall’analisi genetica. Conoscendo le varianti genetiche presenti nei genitori si può effettuare la diagnosi prenatale. Oltre alla terapia sintomatica, è stata di recente raccomandata anche la terapia sostitutiva, con somministrazione regolare di alfa-1-antitripsina umana purificata: tuttavia, non sono ancora stati effettuati rigorosi studi clinici per verificare la reale efficacia di questo intervento. La malattia risulta curata definitivamente in quei pazienti che, a causa della grave compromissione epatica, si sottopongono a trapianto di fegato.