Focus 11 Settembre 2023

Terapia innovativa può rivoluzionare il trattamento del tumore al fegato

Una doppia “spinta” immunitaria nel trattamento del tumore del fegato avanzato e non operabile. Una terapia innovativa che consiste in un mix di farmaci immunoterapici e potrebbe rappresentare un passo avanti nella cura dei pazienti adulti.

La Commissione europea ha dato il via libera alla combinazione tra Durvaluma e una dose singola di Tremelimumab per il trattamento di prima linea. L’ok è arrivato nei mesi scorsi dopo che il Comitato per i medicinali per uso umano dell’Ema aveva espresso parere positivo sulla scorta dei risultati dello studio Himalaya pubblicati nel New England Journal of Medicine Evidence. Alla fine di giugno scorso, a Barcellona, nel corso del World Congress on Gastrointestinal Cancer 2023 della Società Europea di Oncologia Medica (Esmo), sono stati presentati i dati aggiornati di sopravvivenza a quattro anni. Himalaya è uno dei più ampi studi di fase 3 condotti sull’epatocarcinoma in stadio avanzato (HCC), ha arruolato più di 1300 pazienti non trattati con una precedente terapia sistemica con un follow up così lungo. È stato condotto in 181 centri di 16 Paesi tra cui gli Stati Uniti, il Canada, l’Europa, il Sud America e l’Asia.

Dallo studio Himalaya è emerso che l’assunzione di Durvaluma con una dose singola di Tremelimumab, il cosiddetto regime Stride, ha ridotto il rischio di morte del 22% rispetto al trattamento standard con sorafenib. Andando più nello specifico: il 25,2% dei pazienti trattati con il regime Stride era vivo a 4 anni rispetto al 15,1% di quelli trattati con Sorafenib. Nessun altro trattamento ha avuto finora questi risultati. Se, infatti, si vanno a verificare i dati disponibili fino ad oggi, solo il 7% dei pazienti con tumore del fegato avanzato è vivo a cinque anni. Il mix tra i due farmaci presenta quindi un tasso di risposta superiore.

Il regime Stride prevede una sola somministrazione di Tremelimumab, a un dosaggio superiore di quello tradizionale. Questo è in grado di stimolare la risposta immunitaria. Il farmaco, infatti, blocca l’attività della proteina 4 associata ai linfociti T citotossica (CTLA-4), innesca la risposta immunitaria al cancro e favorisce la morte delle cellule tumorali. Presenta, inoltre, una maggiore tollerabilità. I pazienti con epatocarcinoma in fase avanzata, infatti, hanno bisogno di trattamenti ben tollerati che possono prolungare significativamente la sopravvivenza globale. Il tumore al fegato è il sesto più diagnosticato al mondo e rappresenta la terza causa di morte. Nel 2020 in Europa sono stati diagnosticati 87mila casi dei quali il 51% si presentava in uno stadio avanzato. Inoltre, dal 1990 al 2019, sempre in Europa, si è registrato un incremento del 70% della mortalità.

Come sottolineato da Lorenza Rimassa, professore associato di Oncologia Medica presso Humanitas University e IRCCS Humanitas Research Hospital di Rozzano (Milano), “il trattamento dell’epatocarcinoma è complesso perché bisogna trattare il tumore senza sottovalutare il fatto che il paziente molto spesso è affetto da un’altra patologia molto importante, l’epatopatia cronica. La gestione di due gravi patologie concomitanti richiede terapie tollerabili, che non peggiorino la funzionalità epatica residua”. La professoressa Rimassa rimarca come “l’unica somministrazione di Tremelimumab è in grado di fornire una “spinta” alla risposta immunitaria, offrendo contemporaneamente un miglioramento del profilo di sicurezza, e pertanto offrendo maggiore efficacia e tollerabilità”.