Trapianti di fegato da donatori con Covid-19 attivo, cosa dice uno studio italiano
Un’opportunità salvavita che vale la pena cogliere? È la domanda che si pone lo studio relativo ai trapianti di fegato da donatori con Covid-19 attivo pubblicato nei giorni scorsi sull’American Journal of Transplantation.
Una ricerca tutta italiana che ha come firmatario principale il professor Paolo Grossi, direttore delle Malattie infettive dell’ASST Sette Laghi di Varese, nonché membro della task force nazionale attivata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, nel febbraio 2020 per coordinare le misure di contenimento alla diffusione del Coronavirus. La pandemia ha avuto un impatto drammatico sul panorama dei trapianti, ma il nostro sistema sanitario, già dal novembre dello scorso anno, ha consentito l’esame urgente di innesti da donatori deceduti con infezione attiva da SARS-CoV-2.
In questo studio sono stati presentati i risultati dei primi 10 trapianti di fegato da donatori con Covid-19 attivo. Solo due riceventi hanno avuto un test molecolare positivo all’intervento e uno di loro è rimasto positivo fino a 21 giorni dopo il trapianto. Nessuno degli altri otto è risultato positivo al virus durante il follow-up. Le immunoglobuline specifiche sono risultate positive nell’80% dei riceventi e il 71% ha mostrato anticorpi neutralizzanti, espressione dell’immunità protettiva correlata al Covid-19. Inoltre, i test per l’RNA di SARS-CoV-2 sulla biopsia epatica dei donatori al trapianto sono risultati negativi nel 100% dei casi, suggerendo un rischio di trasmissione molto basso con il trapianto di fegato. Il regime di immunosoppressione è rimasto invariato, secondo il protocollo standard.
Nonostante il piccolo numero di casi, questi dati suggeriscono che i trapianti di fegato da donatori con Covid-19 attivo in candidati informati con immunità SARS-CoV-2, potrebbero contribuire ad aumentare in sicurezza il pool di donatori.