Epatectomia con tecnica ALPPS dopo aver rimosso le metastasi al fegato
Epatectomia con tecnica ALPPS. È il tipo di intervento che è stato effettuato lo scorso dicembre a Pisa su una giovane paziente ligure che, oltre alla storia chirurgica piuttosto complessa, ha dovuto superare anche la quarantena da Covid.
La donna, alla quale nel febbraio 2021 erano state rimosse venti metastasi da tumore del colon-retto distribuite su tutta la superficie epatica, dopo sei mesi dall’operazione si è trovata di nuovo faccia a faccia con la malattia che stavolta aveva coinvolto la via biliare e la vena porta. La situazione era parsa subito ingestibile visto che il volume del fegato residuo, inferiore al 20%, non avrebbe permesso la sopravvivenza anche alla luce dell’insufficienza epatica che si sarebbe sviluppata dopo l’intervento. Oltretutto su un organo che già era stato operato. Ecco allora l’applicazione dell’epatectomia con tecnica ALPPS. Si tratta di una chirurgia che prevede due interventi a distanza di otto giorni l’uno dall’altro. Nel primo si divide il fegato in due parti, nel secondo si rimuove la parte con la malattia rimasta in sede per aiutare la parte sana a rigenerare e crescere. Questa tecnica è stata descritta per la prima volta nel 2012, ma non è mai stata applicata per trattare una ripresa di malattia dopo aver già rimosso venti metastasi distribuite su tutto il fegato.
Lo scorso ottobre, il dottor Lucio Urbani ha eseguito il primo tempo chirurgico durante il quale il fegato è stato diviso in due parti e contemporaneamente sono state ricostruite la vena porta e la via biliare. Otto giorni dopo, il secondo tempo per rimuovere la parte di fegato malata e lasciare la piccola parte di fegato sano che è cresciuta fino a un volume compatibile con la vita. La degenza complessiva è stata di sole due settimane. Ma proprio tra i due tempi chirurgici, la giovane paziente ligure ha dovuto affrontare la quarantena, perché era risultata positiva al Covid trasmesso dalla sua vicina di letto nella stanza di degenza. La gestione del secondo tempo chirurgico durante la quarantena è diventata una criticità sia organizzativa che clinica, essendosi sommate le incognite legate alla procedura chirurgica con quelle di una eventuale infezione dal virus. Se a settembre la paziente non avesse ricevuto la terza dose di vaccino, la sua storia chirurgica si sarebbe complicata, mentre ha potuto completare il secondo tempo chirurgico nei tempi previsti e terminare la quarantena a casa senza mai positivizzarsi.