Focus 31 Agosto 2020

Dal prelievo di sangue alla biopsia epatica
Ecco i test per individuare la presenza dell’epatite C

Si tratta di una malattia infettiva che interessa il fegato e può svilupparsi sia in maniera acuta che cronica. Stiamo parlando dell’epatite C, una patologia epatica che, ancora oggi, nella maggior parte delle persone colpite non provoca alcun sintomo.

I primi segnali possono giungere solo dopo anni e con la malattia in stadio avanzato, quando cioè si è già di fronte a casi di insufficienza epatica, cirrosi o tumore del fegato. Benché esistano diverse metodologie per la sua cura, è necessario che venga diagnosticata rapidamente o comunque prima di sintomi e conseguenze gravi. L’epatite C si può trasmettere attraverso il contatto diretto con il sangue di pazienti infetti: dallo scambio di aghi e siringhe (nei casi di tossicodipendenze per via endovenosa), alla realizzazione di tatuaggi o piercing senza il rispetto delle corrette norme igieniche, passando per rapporti sessuali non protetti, trasfusioni con sangue infetto o trapianti (anche se su queste ultime due procedure negli ultimi anni sono stati compiuti importanti passi avanti).

Febbre, debolezza, nausea e dolori addominali sono i sintomi più blandi e frequenti che possono insorgere all’inizio della malattia, sintomi spesso confondibili con quelli di patologie meno preoccupanti: per questo è importante oggi poter contare su una serie di test che possono indicare in anticipo se si è in presenza o meno dell’epatite C. Uno di questi è il prelievo del sangue oppure l’analisi della saliva. Ma non solo. Tra le indagini che è possibile effettuare, ci sono anche quelle che sono in grado di quantificare la cicatrizzazione del fegato, un processo generato dalla risposta del nostro sistema immunitario al virus: sostanzialmente più il fegato è indurito, tanto maggiore è il danno provocato dall’epatite. Il più diffuso è la biopsia epatica, che prevede il prelievo e l’analisi di un campione di tessuto, anche se recentemente sono state avviate procedure meno invasive come l’elastografia epatica o fibrosa, una tecnica che attraverso le onde sonore permette di valutare la durezza del fegato.

A differenza delle epatiti A e B, per la C non esistono vaccini, ma solo la possibilità di agire preventivamente seguendo corretti stili di vita ed evitando così possibili comportamenti a rischio. I farmaci antivirali ad azione diretta rappresentano l’alternativa più recente all’interferone, fino a pochi anni fa considerato come l’unica azione farmacologica possibile. Questi nuovi farmaci, invece, permettono di colpire il virus a prescindere dalla sua variante, garantendo un livello di guarigione pari al 95%.

Ad oggi sono oltre 200mila i trattamenti in corso in Italia con queste nuove cure, ma circa 300mila sono ancora i soggetti che rientrano nel cosiddetto “sommerso”, cioè coloro che senza saperlo sono potenzialmente portatori del virus e che senza uno screening mirato rischierebbero di compromettere non solo la propria salute, ma anche quella degli altri per il rischio concreto di trasmissione dell’epatite C.

LEGGI l’articolo sullo studio relativo ai trapianti di fegato da pazienti malati di HCV