Focus 04 Giugno 2020

L’impatto del Covid-19 su donazioni e trapianti di
organo. Il dibattito in streaming promosso dal CNT

di Emiliano Magistri

Un momento di confronto e di dibattito, rivolto soprattutto ai pazienti, per capire come l’attività di donazione e trapianti di organo ha risposto all’emergenza Covid-19. È stato l’obiettivo del webinar promosso dal Centro nazionale trapianti trasmesso nel pomeriggio di giovedì 4 giugno e che ha visto intervenire una serie di specialisti legati alla rete nazionale trapianti e ad altre branche scientifiche coinvolte nel contenimento della pandemia sulle attività sanitarie nazionali.

Il direttore del Cnt, Massimo Cardillo

Come già emerso dal Report pubblicato nei giorni scorsi, nei suoi saluti iniziali lo stesso direttore del Cnt, Massimo Cardillo, ha voluto ribadire la capacità del sistema italiano di “reggere all’impatto del coronavirus rispetto ad altri Paesi europei e del mondo. Seppur sia stata registrata una flessione a inizio epidemia, l’attività è poi pian piano ripresa per arrivare oggi, e i dati lo confermano, ai livelli del pre-Covid. Ora dobbiamo entrare in una seconda fase sia della vita quotidiana, che delle fasi trapiantologiche”.

Quello di mantenere l’assoluta sicurezza nella donazione e di fornire direttive nella selezione dei donatori e nel percorso dei pazienti post trapianto è stato il tema con cui Cardillo ha introdotto l’intervento di Giuseppe Feltrin, Coordinatore regionale trapianti del Veneto: “Fino all’inizio della pandemia il numero dei donatori segnalati, non solo nel nostro territorio, era tra i più alti degli ultimi anni. Poi le donazioni e i trapianti sono diminuiti e la flessione si è fatta sentire per almeno un mese”. Una flessione che, come ha spiegato, “seppur distinta in base ai singoli organi, non ha visto infezioni da Covid tra donatore e ricevente e, da metà aprile, è cessata tornando ai livelli di normalità”.

Un percorso lungo e difficile, questo ha rappresentato e rappresenta tuttora la diffusione del virus. Un percorso che ha visto reparti e strutture ospedaliere italiane completamente rivoluzionate dall’emergenza sanitaria: “Durante la pandemia abbiamo perso molte terapie intensive perché occupate dai pazienti positivi – spiega il dottor Matteo Ravaioli, chirurgo epatobiliare e dei trapianti di fegato e rene al policlinico di Bologna – così come anestesisti ed equipe infermieristiche che sono stati completamente assorbiti dalle nuove urgenze. Urgenze che spesso hanno riguardato il personale sanitario contagiato dal virus, compreso il sottoscritto“. Un problema che ha comportato anche una revisione del trattamento dei pazienti: “Ci siamo trovati costretti a effettuare una serie di tamponi anche se i sintomi non erano chiarissimi, così da garantire a tutti il massimo livello di sicurezza. Guanti, mascherine e altri dispositivi di protezione sono stati e sono necessari tuttora perché la storia recente ha dimostrato che possiamo essere tutti potenziali portatori del virus”. Ma come avviene oggi la convocazione di un paziente? “Ognuno viene accolto seguendo i criteri utili a stabilire se abbia sintomi o meno – prosegue – effettuiamo il tampone che, in caso positivo, indirizza il paziente alle cure per il Covid-19, in caso negativo lo avvia allo screening per il trapianto e poi all’intevento stesso. Oggi questa procedura viene utilizzata per qualsiasi tipo di intervento”.

Un altro tema affrontato nel corso del webinar è stato quello relativo al follow up e alla selezione dei pazienti. Come ha spiegato il dottor Piergiorgio Messa, presidente della Società italiana di nefrologia, “l’impatto nei controlli ambulatoriali e nel monitoraggio dei pazienti trapiantati è stato notevole. Il problema infatti non ha riguardato soltato la differenziazione tra positivi e negativi, ma anche la necessità di creare percorsi alternativi per i soggetti asintomatici”. Una fase in cui, ancora una volta, la tecnologia ha ricoperto un ruolo determinante: “Telefonate, videochiamate e email hanno permesso di mantenere costanti i contatti con i pazienti ed evitare assembramenti negli ospedali”. Ma non solo. In molti chiedevano anche indicazioni sulle terapie da poter seguire o meno: “Tantissime richieste giungevano da persone che volevano effettuare test per certificare l’eventuale patologia e questo rendeva difficile anche lo loro convocazione – spiega – E poi domande sulle terapie immunosoppressive, che spesso abbiamo semplicemente modificato su soggetti che avevano sintomatologie importanti evitando di abolirle completamente”.

Quello della gestione del paziente è stato un ruolo rivendicato dalla dottoressa Gabriella Biffa, dell’UOC Psicologia clinica e psicoterapia all’ospedale San Martino di Genova: “L’emergenza ha generato difficoltà a livello psicologico in tutta la popolazione, soprattutto per la velocità di diffusione e la difficoltà, almeno iniziale, nella gestione del virus e nel trovare terapie efficaci. Una serie di paure, in gran parte ataviche, si sono risvegliate in molti pazienti e nei loro familiari: soprattutto la paura di ciò che non si conosce, dell’impossibilità di adottare misure adeguate e di non poter riabbracciare i propri affetti”. In tutto questo, l’abnegazione di psicologi e psichiatri in tutta Italia non si è mai fermata: “Nemmeno nelle zone più critiche, anzi grazie ai supporti informatici siamo stati in grado di mantenere il contatto diretto con le persone e contrastare così disagio e isolamento sociale“.

Sempre restando il Liguria, il coordinatore regionale trapianti, Andrea Giannelli Castiglione, ha spiegato come “quando si parla di calo delle donazioni occorre ricordarsi cosa hanno dovuto affrontare i reparti di terapia intensiva in Italia. Tanto per fare un esempio, nella nostra regione siamo passati da circa 200 posti letto a 40 liberi da pazienti Covid-19“. Anche qui, molte sofferenze dovute all’isolamento con i familiari: “Una condizione che ci ha portato a dover reinventare la comunicazione, creando una vera e propria checklist su come gestire il dialogo con loro e, soprattutto, su come affrontare e condurre la telefonata in cui spiegare punto per punto la gravità della diagnosi o, nei casi più drammatici, l’avvenuto decesso”. Tutto questo, spesso, con quella “barriera”, seppur necessaria, rappresentata da mascherine, guanti e scudi: “Manifestare e recepire le emozioni dei pazienti e dei loro affetti è stato senza dubbio l’ostacolo più arduo da superare, ma grazie a un lavoro di riorganizzazione generale siamo riusciti a gestire anche questo aspetto”.

Che il virus non sia stato ancora sconfitto non va però dimenticato. Come ha ribadito il professor Paolo Grossi, direttore delle Malattie infettive dell’ospedale di Circolo di Varese (nonché componente della task force nazionale attivata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, per coordinare le misure di contenimento alla diffusione del coronavirus), “allo stato attuale il numero dei casi positivi è di circa 40mila. Occorre quindi mantenere un comportamento attento da qui in avanti, visto che oggi stiamo beneficiando dei giusti comportamenti che abbiamo seguito nella fase critica della pandemia restando a casa”.

Quelle buone prassi collettive che hanno permesso anche all’attività trapiantologica di ripartire.