Focus 04 Novembre 2022

Come recuperare i fegati non idonei al trapianto

Un momento di confronto per affrontare le nuove frontiere di cura e capire come recuperare i fegati non idonei al trapianto. È ciò che ha rappresentato il meeting organizzato a Washington dall’AASLD (l’American Association Study of Liver Disease) a cui hanno preso parte gli esperti di maggior rilievo a livello internazionale, tra cui il professor Francesco D’Amico del Dipartimento di Scienze chirurgiche, oncologiche e gastroenterologiche dell’Università di Padova.

Molti fegati vengono considerati non idonei al trapianto in quanto provenienti da donatori che presentano steatosi epaticafibrosi o che sono deceduti per arresto cardiaco senza possibilità di ripresa, il che impedisce all’organo di essere irrorato di sangue e quindi va incontro a morte cellulare più o meno estesa. I più recenti traguardi nella trapiantologia epatica prevedono, dal momento dell’espianto al trapianto, la conservazione dell’organo in una machine perfusion (MP), ovvero una sorta di macchina in grado di conservare per alcune ore il fegato, perfondendolo con un liquido di preservazione speciale oppure sangue, per “ricondizionarlo” e prolungare i tempi di ischemia relativa.

Ciò può avvenire in due modi: o tramite machine perfusion a freddo (ipotermica), dove il flusso al fegato viene mantenuto a basse temperature con un liquido di conservazione che viene pompato all’interno dell’organo attraverso i suoi vasi, oppure tramite una machine perfusion normotermica, dove il liquido è sostituito da sangue compatibile a 37C° che viene ossigenato come “in vivo”. Nell’Università di Yale, negli Stati Uniti, è in corso da circa un anno un Trial pre-clinico ambizioso e primo nel suo genere, che utilizza catene corte di RNA interferenti (RNAi) da associare al sangue, durante il ricondizionamento in MP di organi non idonei al trapianto.

“Quello che vogliamo fare, attraverso la machine perfusion normotermica dove al sangue viene aggiunto un farmaco, è riuscire a recuperare i fegati non idonei al trapianto – spiega il professor D’Amico – Si tratta di un pool di farmaci che inibiscono la trascrizione del RNA dal DNA nelle cellule epatiche, provando così a individuare e bloccare le proteine e le sostanze tossiche che si formerebbero in seguito al danno da ischemia/riperfusione e che condizionerebbero irreversibilmente la ripresa dell’eventuale trapianto successivo. Negli Stati Uniti ogni anno vengono scartati circa 1000 organi per vari motivi, molti dei quali per le cause sopra citate. L’obiettivo è quello di rendere idonei dopo cinque giorni di ricondizionamento in MP normotermica, grazie all’aggiunta del farmaco sperimentale, molti dei fegati inizialmente definiti erroneamente non idonei, e creare così una banca di organi perfettamente funzionanti e pronti al trapianto. Solo nel nostro centro a Padova diretto dal professor Umberto Cillo, ogni anno vengono trapiantati circa 105 fegati dei circa 1300 trapiantati in Italia, e sempre in Italia ne viene scartato al momento della valutazione circa il 15%: una quantità che potrebbe essere utile per ridurre le liste d’attesa visto che la richiesta è naturalmente superiore”.